il racconto

Covid-19, il viaggio di Pino Zecchillo: la febbre, il farmaco clandestino, il grazie ai medici e un fioretto da rispettare

I giorni a casa malato, poi finalmente il ricovero e quell'incubo del casco Cpap. L'amore della moglie e della famiglia gli hanno dato la forza.

Covid-19, il viaggio di Pino Zecchillo: la febbre, il farmaco clandestino, il grazie ai medici e un fioretto da rispettare
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Giuseppe Pino Zecchillo ha 64 anni, è originario della Puglia ma da una vita abita a Como. Direttore dell'ufficio postale di Bellagio, è soprattutto un volto notissimo della politica comasca. Italia Unica, l'impegno nell'associazione culturale COstruiaMO e da qualche anno il desiderio e un gruppo di lavoro per rifondare il Partito Liberale di Cavour. Poi la malattia, il maledetto Covid-19 e finalmente la rinascita.

La febbre, il farmaco "clandestino" e finalmente il ricovero

"Ho cominciato ad avere la febbre il 18 marzo - esordisce Pino, raggiunto al telefono ora che finalmente sta meglio - L'ho avuta per una settimana a 38/39 gradi. Il mio medico di base mi ha prescritto la Tachipirina perché non c'era una terapia che potessi fare a casa. Per due volte ho chiamato il 118 spiegando la situazione ma non avendo tosse né il respiro affannato mi hanno detto di rimanere a casa".

La situazione però nei giorni successivi non è cambiata, Pino stava male ma non c'era nulla che il suo medico potesse fare. "Così parlando con un altro mio amico medico, mi ha consigliato un farmaco che stavano già sperimentando a Lecco, a Napoli e in Spagna - racconta Zecchillo - Un farmaco per i problemi alla prostata che clandestinamente un amico che lo utilizzava mi ha fatto avere. Credo che mi abbia salvato la vita". 

I sintomi si erano alleviati ma Pino continuava a stare male e, ottenuto un saturimetro, ha finalmente visto che l'ossigeno nel suo sangue era troppo basso. Un classico sintomo del Covid-19. "Dopo 12 giorni ho richiamato i soccorsi e con questa informazione hanno deciso di ricoverarmi - spiega il comasco - Sono stato al Sant'Anna fino al 22 aprile. Il momento peggiore era ogni volta che dovevo indossare il casco Cpap. Dovevo tenerlo tutta la notte ma era un inferno, non riuscivo a dormire. C'erano persone che non riuscivano a sopportarlo, un ricoverato ne ha rotti tre perché era troppo per lui".

Il grazie di Pino va a tutto il personale del Sant'Anna. "E' un ospedale efficiente, con personale preparato ma soprattutto disponibile - racconta Zecchillo - Ringrazio di tutto cuore il medico del mio reparto, Alessandra Di Emanuele, e i paramedici Valentina e Francesco, sono stati incredibili".

La riabilitazione, la preghiera e quel fioretto per quando tornerà alla vita normale

Oggi Pino è al Felice Villa di Mariano Comense per concludere la quarantena e la riabilitazione respiratoria. "Qui ho trovato un compagno di stanza di Bergamo con cui vado molto d'accordo, riusciamo anche a fare qualche partita a carte insieme. Ci capiamo perché abbiamo vissuto la stessa terribile esperienza - racconta Zecchillo - Ora però non vedo l'ora di tornare a casa da mia moglie che non vedo da quaranta giorni. Ha fatto di tutto per farmi stare il più tranquillo possibile in ospedale. Senza il suo amore e il supporto della nostra famiglia non ce l'avrei mai fatta". 

Prima di salutarci e tornare alla terapia, Pino ci tiene a raccontarci un episodio che ha vissuto in questi giorni difficili e che lo ha cambiato molto.

"Nella vita sono sempre stato agnostico ma in questo momento della mia vita, forse per la solitudine che ho vissuto, mi sono avvicinato al Signore. Ho pregato tanto, dicevo l'Ave Maria come fosse un mantra. Il Venerdì e il Sabato Santo ho pregato tanto, mi sono rivolto a Gesù chiedendogli aiuto e la domenica di Pasqua stavo bene - racconta commosso Pino - Non sono il tipo da andare in chiesa tutte le domeniche ma ho fatto una promessa: quando torneremo alla normalità dedicherò del tempo agli ultimi, a chi è solo e in difficoltà. E' stato il mio fioretto".

Stephanie Barone

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