L'Ucraina siamo noi: due testimonianze dalla missione umanitaria
Il Giornale di Olgiate regala ai lettori di primacomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2022 sulle pagine del nostro settimanale
Qui di seguito due testimonianze della missione umanitaria che quest'estate è partita dalla parrocchia di Maccio e alla quale abbiamo partecipato anche noi del Giornale di Olgiate.
L'Ucraina siamo noi, la lezione di Natalyia
La luce negli occhi di Natalyia Borzova emana fede granitica. Ci accoglie nella sua casa, in un quartiere residenziale di Kharkiv: ampia, curata, dove tutto parla di quel vuoto incolmabile da due mesi a questa parte. Natalyia ha perso il marito, Oleg: 52 anni, volontario al fronte nel Donbass, fino al punto di scendere in trincea e morire, vittima di una bomba a grappolo russa.
Una casa costruita con le sue mani da un uomo capace di saldare - era la sua professione - affetti e patriottismo. Alle pareti le fotografie di momenti felici, spensieratezza della vita coniugale, il trascorrere degli anni. Una vita smembrata dalla guerra. Eppure lei, indaffarata in cucina per i nuovi amici italiani arrivati da Maccio, tanto generosa da lasciare senza parole, ci ha insegnato il reale valore dell’accoglienza. Donata mentre combatte un dolore incommensurabile, tra i quotidiani fragori e bagliori dei bombardamenti.
"Mio marito - racconta Natalyia - si trovava nella regione di Donetsk, dove ci sono grandi combattimenti. Con i suo compagni doveva proteggere una strada. Era in trincea, una bomba a grappolo l’ha ucciso. Ogni tanto mi mandava dei video dal bunker. Potevamo scriverci solo in momenti stabiliti".
L’ultimo messaggio che mi ha inviato è stato questo: “Devo correre, ma io ti amo. Dio sta anche con te”. E poi l’icona di un bacio. "Cosa direi a mio marito, se fosse ancora qui? Che lo amo". Perché l’amore vince tutto: così parlano gli occhi di una donna ucraina.
Mamme, bimbi, anziani in fila per sopravvivere
La folla mantiene un certo ordine, pur impaziente di stringere tra le mani la settimanale razione di farina, scatolame e medicinali. I bimbi, di primo acchito ritrosi, affondano le braccia in grandi pacchi di caramelle: diversivo di una mattinata di distribuzione di aiuti umanitari, condivisa dai volontari di Maccio con quelli della comunità greco cattolica di San Nicola, a Kharkiv.
Un martedì mattina così - 16 agosto - ti resta addosso. Per i volti e i nomi incontrati. Come quello di Eugenia, 78 anni, residente a Kharkiv. Capelli corti, screziature di grigio e bianco, vestito estivo fiorato. Volto solcato da profonde rughe: quasi emblema di una città piegata dai bombardamenti ma non spezzata nella resistenza.
"Siamo molto preoccupati, abbiamo tanto stress - si sfoga Eugenia - Sparano, bombardano... Ho degli amici al fronte, uno è andato a combattere come volontario ed è stato ferito. Il mio pensiero sulla guerra? Voglio la pace, ho bisogno di dormire tranquillamente la notte. La vita è breve: voglio che ci sia la pace".
Iryna è in coda per la vitale razione di aiuti. Indossa una canottiera nera, capelli raccolti da un nastro blu. È una giovane mamma:
"Per noi la guerra... - si blocca, porta le mani sugli occhi castani per nascondere l’accenno di lacrime - Siamo appena arrivati dal territorio della regione di Kharkiv occupato dai russi. È una situazione molto difficile perché i bambini capiscono che c’è la guerra. Hanno paura".
Nikola è un pensionato. Staccandosi dalla fila, ci stringe la mano:
"Nessuno poteva immaginare che sarebbe successa una cosa del genere. Tutto è nelle mani di Dio, ma quando vedi come la gente soffre... ti vengono le lacrime. Quando i giovani vengono uccisi e rimangono solo le persone anziane, è una tragedia".
La gente cammina in fila indiana, a ridosso della chiesa di San Nicola, dove i volontari, insieme a padre Onofrio Repetskyy, dell’ordine di San Basilio Magno, hanno organizzato i punti di distribuzione: cibo, medicinali, pupazzi e giochi per i piccoli e vestiario. Una donna ci affida le sue parole:
"Vengo da Saltivka (quartiere di Kharkiv, dove abitavano circa 200.000 persone, distrutto Ndr). Abbiamo famigliari al fronte. La difficoltà maggiore è la mancanza di cibo e medicine. Non sono ancora pensionata, facevo la cuoca, ma da quando è iniziata la guerra non lavoro. Gli aiuti della parrocchia sono fondamentali".
Incrociamo lo sguardo di una madre e della figlia. La ragazzina ha 11 anni, stessa canotta gialla della madre, che racconta:
"Andava a scuola, in piscina e a danzare: tutto questo si è fermato. Siamo molto grati perché una volta alla settimana possiamo venire qui e prendere ciò che ci serve. Di notte bombardano sempre. Il sonno non c’è più. Ci manca la nostra vita normale: avevamo tutto...".