Un cabiatese alla maratona di Tokyo
Luca Galimberti ha preso parte alla prima gara podistica nel 2010 e settimana scorsa è riuscito a completare le sei "major"

La maratona è un modo per testare i propri limiti. Una sfida contro se stessi che Luca Galimberti, cabiatese doc, ha superato brillantemente. Il cabiatese, infatti, ha completato le cosiddette «maratone major». Queste sono le corse considerate di primo livello, per motivi storici, di ambientazione e organizzativi. Le sei major sono, nell’ordine in cui le ha fatte il cabiatese, New York, Londra, Berlino, Boston, Chicago e Tokyo. Una volta completate, si riceve una medaglia apposita. La più recente, quella nella capitale giapponese, si è tenuta domenica scorsa, il 2 marzo. Galimberti racconta: «È andata molto bene. Era la prima volta che andavo a Tokyo. Mi è piaciuta tanto la città».
Un cabiatese alla maratona di Tokyo: "Volevo chiudere un cerchio"
L’obiettivo era chiaro: «Volevo arrivare fino in fondo e completare le major. Ovviamente non partecipavo per vincere ma per chiudere un cerchio». Nonostante sia molto difficile trovare un pettorale per la maratona di Tokyo, al via c’erano 38mila persone: «Le richieste sono praticamente 300mila. Tokyo è la più recente delle major mentre Boston è quella più antica». Galimberti analizza la maratona giapponese: «È super organizzata. La giornata era bellissima, forse c’era fin troppo caldo per correre. Il percorso è tutto all’interno della città che è davvero enorme. Si è sempre in mezzo ai grattacieli».
"Serve grande concentrazione"
Il cabiatese evidenzia una particolarità: «C’erano strade gigantesche dove, a volte, si incrociavano i corridori che erano nelle prime posizioni. Era bello e si faceva il tifo per loro. Poi, come accade spesso, siamo passati dai luoghi più caratteristici». Non sempre, tuttavia, si riesca a godersi il paesaggio: «La mia non è una maratona competitiva ma si arriva comunque molto stanchi quindi bisogna stare attenti a ciò che si ha attorno. Serve grande concentrazione». Galimberti evidenzia un particolare: «In queste maratone fa la differenza l’atmosfera. Il tifo e le persone che ti sostengono attorno sono fondamentali. I giapponesi erano molto pacati nel tifo, continuavano a urlarci “Gambare” che significa “Forza!”. Era quasi una litania».
Stanco ma felice
Tra bande, musica e tifosi, l’atmosfera era buona: «Quando si corre per quattro o cinque ore, fa bene distrarsi. Al chilometro 35 c’è il “Muro del maratoneta”, la fase più difficile. Da quel momento in poi è solo testa». La conclusione è stata molto positiva: «Il mio obiettivo era arrivare in fondo e ce l’ho fatta. Ero stanco e felice di aver completato il cerchio delle major. C’è tantissima soddisfazione, è tutta una cosa personale». Sotto la pettorina, ben visibile, c’era la maglietta della Ciclistica Cabiatese, società a cui appartiene: «Così avevo Cabiate vicino». La prima maratona, fatta quasi per caso a Milano nel 2010, ha aperto un mondo di soddisfazioni. Galimberti ne è consapevole e conclude: «Tra le major, le due più belle sono state New York e Londra, poi Boston e Tokyo e, infine, Berlino e Chicago. Quando si inizia con la prima, viene voglia di completare il cerchio e sono contento di averlo fatto».