Cervelli in fuga

"In Italia ero sottovalutato, in Australia sul lavoro c’è meritocrazia e si fa carriera"

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"In Italia ero sottovalutato, in Australia sul lavoro c’è meritocrazia e si fa carriera"
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«Ero stanco, mi sentivo soffocato, non trovavo sbocchi». Per Andrea Romanò, nato a Carate Brianza nel 1976 e cresciuto tra Mariano Comense e Arosio, il mondo del lavoro in Italia era diventato una delusione. Un'occasione inaspettata, però, ha cambiato tutto: «Una sera mia mamma andò a cena con Giuseppe, suo cugino che da decenni viveva a Lismore, nel New South Wales, in Australia. Sapendo che desideravo andarci come turista, parlarono e lui si offrì di ospitarmi per un mese».

"In Italia ero sottovalutato, in Australia sul lavoro c’è meritocrazia e si fa carriera"

L’allora 34enne Andrea non ha dubbi: «Ho subito detto di sì. Ero stanco di ciò che stavo facendo in Italia. Mi sentivo frustrato e sottovalutato». Il tema della svalutazione per Andrea va al di là dell’esperienza personale: «Penso che in Italia sia una consuetudine. Il datore di lavoro “deve” sottovalutarti per pagarti meno. Si tratta di una delle cause principali che mi hanno spinto ad andare via. In più non avevo nessun legame al netto della mia famiglia che potesse fermarmi».
I primi mesi in Australia sono serviti ad Andrea per ambientarsi e capire che direzione prendere: «Una volta arrivato parlavo inglese a un livello poco più che scolastico. La comunicazione era un po’ difficile. Però ho percepito le opportunità e ho deciso di restare. Sono stato dal figlio di Giuseppe, a Brisbane. Ho capito che avrei dovuto ripetere alcuni passi scolastici per riuscire a restare in Australia e mi sono spostato a Sydney per rifare un corso di laurea. Con tre lavori sono riuscito a pagarmi l’università».

La reazione dei genitori e delle sorelle di Andrea è stata completamente diversa: «Per mia mamma, che inizialmente pensava fosse una vacanza, è stata una tragedia. Prima che mi sposassi tutte le volte che ci sentivamo al telefono mi chiedeva quando sarei tornato in Italia. Mio padre, che è venuto a mancare nel 2012, la vedeva in modo completamente diverso. Dopo un anno e mezzo è venuto a trovarmi. Come mi ha visto, come ha visto il posto, ha capito perché volessi restare. E lo stesso vale per le mie sorelle: anche loro vivevano un periodo di sfiducia verso il nostro paese e mi hanno compreso». Ci tiene comunque a sottolineare una cosa: «Nonostante la distanza, io li ho sempre sentiti vicini a me. Mi hanno supportato, sempre, non mi sono mai sentito estraniato, ci sono sempre stati». E gli amici? «Gli amici che mi sono rimasti in Italia si possono contare sulle dita di una mano. Sono amicizie strette e il rapporto personale non si è mai affievolito. Andare via ti aiuta a capire quali sono le relazioni più vere. Poi con i nuovi mezzi di comunicazione la distanza è relativa». L’accoglienza in Australia, poi, è stata ottima: «L’accoglienza è stata eccezionale, anche perché qua gli italiani hanno avuto un ruolo storicamente importante. In più c’è una sorta di mito positivo degli italiani. Fino a cinquant’anni fa le cose erano diverse» assicura Andrea. «Il cugino di mia madre a scuola aveva avuto difficoltà nell’inserirsi, era ancora in uso il termine “wog”, un epiteto che in Australia indica negativamente le persone mediterranee. Poi il target di questo razzismo si è spostato verso altre categorie».

"Da cinque anni sono nella stessa azienda"

Dopo aver completato gli studi Andrea non ha faticato a entrare nel mondo del lavoro: «Ho trovato immediatamente lavoro nel mio settore e da lì è stata un’escalation». Per Andrea non è stato difficile continuare a crescere lavorativamente. «Da cinque anni sono nell’azienda per cui lavoro. Sono entrato come impiegato ma immediatamente ho capito che avevano bisogno di una mano: ho stilato un resoconto del loro sistema informatico che spiegasse cosa dovevano migliorare per restare al passo con la tecnologia e la sicurezza. Hanno apprezzato e mi hanno offerto il posto di manager: da allora sono il direttore del reparto informatico. Mi sono trovato bene e non ho più cambiato». Un ambiente lavorativo che però si coniuga bene con la vita sociale e il benessere personale: «Quando sono arrivato in Australia mi ha colpito molto la facilità con cui la vita sociale si svolge. Si possono decidere i ritmi, scegliere cosa fare e gli stipendi sono tutti in grado di supportarti fino alla pensione. In Italia non è così, per noi la vita è tutta una corsa, mentre qua la vita è quello che vuoi fare, come lo vuoi fare». Un sistema che premia la meritocrazia: «Chi lavora bene per forza di cose avanza. Me ne sono reso conto con il tempo: non ci sono tanti grandi lavoratori dal punto di vista qualitativo. Io che sono bravino qui spicco, mentre in Italia di lavoratori bravini ce ne sono tanti e molti sono costretti a ricoprire incarichi non all’altezza delle loro capacità. Qua se sei bravino fai carriera». Quanto vissuto ha portato Andrea a riflettere su come funzionino le cose in Italia: «Quello che è successo in questi 10 anni in Italia non è possibile. Se uno parte da zero, come me, per arrivare ad essere un manager d’azienda deve conoscere qualcuno. Come si dice, “avere una spinta”. Questa cosa è il peggio dell’Italia ed è la radice di tanti problemi».

L'amore

Per Andrea l’Australia non è stata solo la terra in cui realizzarsi lavorativamente: «Ho conosciuto mia moglie Clare a Sydney nel 2017 e ci siamo sposati solo un anno dopo, nel 2018. Ci siamo trovati bene quasi subito nonostante l’enorme differenza culturale che c’è tra italiani e australiani». Una differenza che per Andrea e Clare è stata invece un punto di forza: «Siamo diversi, però essendo lei cresciuta in una zona più rurale amava una personalità forte come quella di noi italiani. Parliamo tantissimo e impariamo l’uno dall’altra. La diversità è possibilità di scoprire e di conoscere, ascoltandosi». Proprio con Clare, Andrea è diventato papà della piccola Aurora, nata nel 2023. Romanò parla anche del distacco dal nostro paese, che, secondo lui, non ha eguali: «Dell’Italia mi manca tutto, l’Italia è l’Italia. Ma ha un problema: essa stessa non ti permette di viverla. Io, dopo 15 anni, sto ancora facendo fatica ad abituarmi alla vita qui, sotto tutti i punti di vista. Non vedo l’ora di andarmene in pensione perchè il mio piano pensionistico prevede 6 mesi qua e 6 mesi in Italia. L’Italia è eccezionale in tutto, tranne che sul piano professionale. Ci si rende conto di quanto il resto sia spettacolare solo da lontano».

Un consiglio per i giovani

Infine, Andrea ha anche un consiglio per coloro che stanno pensando di cambiare vita, come ha fatto lui: «Una cosa è molto importante: il coraggio. L’italiano, rispetto ai ragazzi di altri paesi, è poco predisposto a fare un’esperienza lavorativa all’estero. Siamo frenati dalla lingua e dal dover restare vicino alla famiglia. Certo, è importante, ma anche la crescita personale e sociale lo sono. Fare un’esperienza all’estero aiuta entrambe. Si capisce meglio come funzionano le cose e come dovrebbero funzionare. Spesso in Italia non sappiamo che il mondo può essere diverso da come lo conosciamo».