Il ricordo e l'esempio

Nel ricordo di don Roberto Malgesini l’appello del vescovo contro la polarizzazione tra comunità cristiana e istituzioni

Messa, fiaccolata e parole che invitano a lasciarsi trasformare dall'impronta di carità lasciata dal sacerdote ucciso.

Nel ricordo di don Roberto Malgesini l’appello del vescovo contro la polarizzazione tra comunità cristiana e istituzioni

Nel quinto anniversario della morte di don Roberto Malgesini celebrata l’eucaristia nella chiesa di San Rocco, a Como. Il vescovo Oscar Cantoni ha spronato i fedeli e le istituzioni comasche a chiedersi se e quanto il sacrificio del sacerdote, ucciso appunto cinque anni fa, sia modello seguito e da seguire per la società civile comasca.

La celebrazione

Lunedì 15 settembre, alle 20.30, il cardinale ha presieduto la messa. Poi la fiaccolata fino a San Bartolomeo. Fondazione Caritas Solidarietà e Servizio Onlus, in collaborazione con gli enti che partecipano alla gestione della mensa di solidarietà di Casa Nazareth e il sostegno della Fondazione Provinciale della Comunità Comasca, ha scelto di ricordare don Roberto attraverso un video che racconta il legame che egli aveva con ospiti e volontari della mensa di solidarietà (allora ospitata nei locali dell’Opera don Guanella in via Tomaso Grossi). Il video è disponibile sul canale YouTube della Caritas diocesana di Como.

L’omelia del vescovo

“Oggi è giorno di memoria, cinque anni dal sacrificio di don Roberto. Ho ancora incancellabile l’immagine della drammatica scena di don Roberto disteso a terra, sanguinante, appena deceduto, sul piazzale di San Rocco, quando subito accorsi, alla notizia sconvolgente di ciò che era successo. Da allora quel luogo è diventato una stazione di pellegrinaggio, un richiamo forte per tutti i cristiani su che cosa significa amare fino al dono supremo di sé. Abbiamo piantato una croce sul luogo del sacrificio di don Roberto ed è bello che per custodire la memoria e documentare la storia di quei tragici avvenimenti, questo luogo sia un punto obbligato perché eloquente, da offrire a tutti. Qui, infatti, sono accorse in questi cinque anni tante
persone, credenti e no, per ricordare, per meditare, per pregare, per convertirsi. È stupefacente come il sacrificio di don Roberto, il ricordo della sua persona, si sia mantenuto vivo tra noi lungo questi cinque anni, fino al punto che la sua memoria si è divulgata in tutta l’intera nazione italiana e oltre i patrii confini. È nel cuore di tutti noi, a tal punto che ho già chiesto al Dicastero dei Santi in Vaticano su come procedere alla sua beatificazione, proprio ora in cui sono scaduti i cinque anni previsti prima di dare inizio a un processo. Siamo certi che don Roberto gode già fin d’ora la gioia della comunione con Dio e dei santi della Chiesa di lassù. Egli prega e veglia su tutti noi. Ne siamo tutti profondamente convinti. Non ha bisogno di ulteriori elogi. Piuttosto questo profondo legame che si è
instaurato tra noi e don Roberto deve suscitare qualche sano interrogativo, che ci metta in discussione, sia a livello individuale, che come comunità cristiana e anche come comunità civile, perché siamo tutti interconnessi, responsabili e solidali gli uni verso gli altri”.

“Fare memoria e convertici”

Il cardinale ha proseguito con alcune provocazioni. “Fare memoria di don Roberto ci invita a domandarci quanto la sua persona e il suo sacrificio influenzino di fatto la nostra vita, il nostro modo di pensare e di agire, quanto il ricordo di don Roberto ci costringa effettivamente a cambiare, cioè a convertirci. È un esame di coscienza che ci scuote e che come pastore di questa Chiesa oso rivolgere a tutti in questa circostanza, dal momento che attraverso don Roberto Dio ci ha visitato, ci ha parlato, e continuamente ci interpella, fino a inquietarci. Come discepolo e amico di Gesù, don Roberto è stato innanzitutto, e in modo strutturale, un uomo di preghiera. È la prima caratteristica da cui non si può prescindere se non si vuole ridurre quest’uomo a un semplice filantropo. Posso attestare in verità, dal momento che l’ho conosciuto profondamente, che don Roberto pregava molto. Si trattava di una preghiera continua, non breve, piena di confidenza e di totale fiducia filiale nei confronti di Dio. Una preghiera con cui affidava al Signore quanti incontrava nel corso della giornata. Quella finestrella che da una sala della sua casa gli permetteva di guardare spesse volte e affettuosamente l’altare della chiesa di San Rocco era per lui l’occasione di uno sguardo
d’amore verso il tabernacolo, custodia di Gesù eucaristico. Riconoscere don Roberto come uomo di preghiera ci obbliga a domandarci quanto noi di fatto ci dedichiamo ogni giorno e con costanza alla preghiera. Don Roberto è stato un uomo di mitezza Tutti se ne sono accorti e lo hanno riconosciuto tale per la sua semplicità accogliente, per il sorriso sempre sulle labbra, indicante una gioia interiore permanente, frutto della presenza dello Spirito santo, anche nei momenti di difficoltà. Mite nella sua disponibilità ad accogliere tutti, senza prevenzione di sorta, senza scegliere chi preferire, senza domandarsi se fosse opportuno o meno.
La mitezza di don Roberto ci costringe a domandarci se il suo esempio ci ha conquistato, se il ricordo della sua persona e della sua testimonianza non ci obbliga a rinunciare alle nostre facili reazioni aggressive. Don Roberto questa sera ci domanda se stiamo divenendo o meno persone positive, capaci di vedere il bene anche dentro le imperfezioni di ciascuno, solidali con tutti e ostinatamente capaci di promuovere relazioni fraterne.
Infine, vorrei ricordare don Roberto come un uomo di speranza. In questo anno giubilare, abbiamo cercato di mettere a fuoco la speranza che va al di là del comune ottimismo, ma che è radicata nella certezza che Dio ci ama, è fedele alle sue promesse e non ci delude mai. Così abbiamo cercato di individuare i segni di speranza che sono tra noi, le opere segno che con tanta generosità sono presenti con uomini e donne, credenti e non, che si prodigano in un servizio umile, ma costante, capaci di interpretare i segni di Dio dentro la nostra storia e di tradurli in scelte di vita. Don Roberto iniziava la sua giornata con gesti semplici, ma eloquenti, distribuendo la colazione a tutti, augurando una giornata lieta, riconosceva ogni persona importante e preziosa, chiunque fosse. Una modalità espressiva, quella di don Roberto, ammettiamolo, che ha generato non poche perplessità, anche dentro la comunità cristiana. Don Roberto ne era consapevole e ne soffriva in silenzio, con umiltà e pazienza. Pativa interiormente, senza darlo a vedere. Eppure, andava avanti ostinatamente e molti giovani, che ricercano modalità concrete di vita vissuta, e non spiegazioni teoriche, proposte per una vita fondata su relazioni semplici e fraterne, ammirati, lo hanno seguito e continuano tuttora a proporre queste modalità espressive di rispetto, ma anche di vera amicizia. Non ci resta che domandarci se, al di là della ammirazione per questi gesti semplici e immediati, usati da don Roberto, anche noi siamo pronti a gettare, in piena gratuità, semi di speranza nella nostra società, sempre piena di fretta, fondata su relazioni anonime, sulla competitività e incapace di profondi rapporti personali. È quello che ci auguriamo, se vogliamo mantenere viva la memoria di don Roberto e riconoscerlo per quello che è, ossia un uomo di Dio”.

L’invito al dialogo, lo stop alla polarizzazione tra pro e contro

Il cardinale ha proposto anche una riflessione sul dibattito aperto da alcune considerazioni di don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio e le repliche a mezzo stampa da parte di personaggi politici e istituzionali, in primis il sindaco di Como, Alessandro Rapinese. “Nel prendere atto di quanto i media hanno riportato nei giorni scorsi relativamente alle valutazioni sulla città di Como da parte di don Giusto Della Valle, responsabile della comunità pastorale di Rebbio e Camerlata, e alla replica del sindaco di Como, esprimo un caloroso invito a una profonda pacificazione, alla rimozione di ogni ostacolo e di ogni espressione verbale che impedisce o scoraggia la costruzione di una Città di tutti, di una casa comune dove abitano solidarietà e legalità, dove si sperimenta un’autentica convivialità delle differenze, nel pieno rispetto della dignità di ogni persona e dell’intera
comunità. Confermo, come ho dichiarato il 21 settembre 2024 all’assemblea sinodale del Vicariato di Rebbio, il riconoscimento a don Giusto Della Valle del suo servizio pastorale, di squisita tonalità evangelica, caratterizzato da uno specifico impegno a favore delle
persone più fragili ed emarginate. Un impegno che realizza anche una funzione di supplenza rispetto a un’urgenza sociale il cui peso, viceversa, ricadrebbe interamente sulla società civile e sulle istituzioni dello Stato.  Contestualmente, proprio in questo giorno, in cui ricorre l’anniversario dell’uccisione di don Roberto Malgesini, mite apostolo dei poveri, riconosco le molteplici, diversificate, preziose espressioni di condivisione fraterna, di partecipazione alle fatiche della vita di molte persone, di autentica umanità, tutt’ora presenti nella città di Como, che si esprimono sia nella Comunità ecclesiale che nella Comunità civile. Ritengo, come peraltro ho sottolineato nei miei nove messaggi alla Città, in occasione della festività di Sant’Abbondio, che sempre deve essere percorsa la via del dialogo, del confronto, anche critico, tra cittadini e istituzioni, nel pieno rispetto di ogni persona e della Comunità, evitando sterili polarizzazioni. Ritengo altresì che da parte delle istituzioni debba essere incoraggiata e favorita la partecipazione e il coinvolgimento pieno dei cittadini alla costruzione di una città giusta, solidale e prospera, nel pieno rispetto della legalità e dell’ambiente. Occorre per questo coltivare e promuovere i valori che reggono la democrazia, a
sostegno della vita pubblica, e insisto nel chiedere un pensare e un agire politico che siano di alto profilo morale e culturale, per essere di riferimento e stimolo per le nuove generazioni. Nel recente messaggio per Sant’Abbondio 2025 dal titolo: “Camminare
insieme” ho tra l’altro ricordato: “La democrazia vive di atteggiamenti e regole, formali e sostanziali, poste a tutela del bene di tutti e che sottraggono ogni potere al rischio di abuso”. Solo grandi idee e forti ideali possono davvero spingere, in questo momento, a intraprendere i passi necessari per cambiare una rotta rovinosa. Come Pastore di questa Chiesa, invito tutti a considerare che la fede cristiana ci sostiene nell’attendere in pienezza il Regno di Dio, ma ci chiama anche ad assumere fin da subito il compito e la responsabilità di abitare e trasformare il mondo. E per questo siamo chiamati a non limitarci a una gestione dell’esistente, ma a desiderare un cambiamento profondo, a proporre una alternativa di modello sociale, che trova un importante riferimento nello straordinario articolo 3 della nostra Costituzione repubblicana: “… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E ancora suggerisco di guardare alla scelta sinodale della nostra Chiesa, perché capace di investire in tutte quelle forme organizzative che promuovono la dimensione comunitaria, lasciando spazi e tempi alla creatività, alla cura delle relazioni, alla narrazione dei vissuti, all’incontro e al dialogo con il mondo e con la cultura di oggi. Il cammino sinodale è prezioso in sé, come stile, come espressione di corresponsabilità, come scelta di coraggio e di sguardo al futuro. È l’espressione di un popolo in cammino che prova a fidarsi dello Spirito di Dio. Un popolo che non sa dove lo Spirito lo sta conducendo, ma che si lascia portare perché il nuovo che sopraggiunge, inatteso, rapido e inedito, non sia considerato né una minaccia, né un ostacolo, ma piuttosto il luogo in cui bisogna, di tempo in tempo, re-imparare ad annunciare e praticare il Vangelo. E infine, desidero inserire questa richiesta di profonda pacificazione nel Cammino Giubilare di questo Anno Santo, che ci invita ad essere “pellegrini di speranza”, a fare della speranza non certo l’approdo consolatorio e passivo di un’illusione, ma il nucleo vitale di una passione radicale, per ripensare e ricostruire nell’oggi una prospettiva di libertà e di uguaglianza che trova il suo fondamento nella fraternità. La speranza di ritrovare luoghi, spazi, Comunità capaci di ridare solide motivazioni all’impegno civile, sociale e politico, promuovendo la solidarietà, l’amicizia sociale, l’ecologia integrale, accogliendo la bellezza e la ricchezza di un nuovo umanesimo. Possa questo mio invito essere accolto per evitare una indebita e non costruttiva contrapposizione tra comunità cristiana e istituzioni, comunale e provinciale, in vista di un superiore bene comune che sta profondamente al cuore della comunità cristiana e delle istituzioni civili del nostro territorio”.