L'intervista

Il direttore del Negri di Bergamo Remuzzi: “Prepariamoci a distanze e mascherine almeno fino al 2022”

L'importanza dei test e cosa vanno a individuare, ma anche cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi e anni

Il direttore del Negri di Bergamo Remuzzi: “Prepariamoci a distanze e mascherine almeno fino al 2022”
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Giuseppe Remuzzi, per tanti anni primario di nefrologia e dialisi all’ospedale di Bergamo, ricercatore di fama internazionale, dal 2018 è direttore dell’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. Nei giorni scorsi è stato intervistato dai colleghi di Prima Bergamo, ai quali ha spiegato test, immunità e per quanto probabilmente avremo a che fare col coronavirus.

Remuzzi, Fase 2 e test

Si avvicina l’inizio della Fase 2. Tra oggi e domani, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dovrebbe intervenire per spiegare la decisione presa su cosa succederà dal 4 maggio, su chi potrà riaprire e tornare al lavoro subito, chi dovrà aspettare (e quanto) e soprattutto su quanto i cittadini saranno liberi, dopo oltre due mesi di quarantena. Quello che però si è capito in questi giorni, è che per la Fase 2 sarà fondamentale continuare con la diagnosi e la ricerca dei contagiati da coronavirus, e per questo dopo la Lombardia, e soprattutto dopo Veneto ed Emilia che hanno iniziato già da tempo, in tutto il Paese saranno avviati nel giro delle prossime settimane i test sierologici.

Ed è proprio dai test che è iniziata l’intervista con il Dottor Giuseppe Remuzzi:

“Ci sono tre possibilità. Una è data dal famoso tampone che rileva la presenza del virus. È un tampone come tanti che si usano per riconoscere le infezioni batteriche. Ti dicono se in quel momento sei infetto oppure no. Fotografa il presente. Nei soggetti ammalati a causa di questo Coronavirus, ricoverati in ospedale, se ne fanno tre. Il primo dice se sei infetto o no. Gli altri due si eseguono alla dimissione del paziente per accertarne la guarigione. Se ne fanno due a distanza di tempo per avere maggiore sicurezza che l’infezione sia terminata. I risultati non sono mai certi al cento per cento. Ma questo vale per ogni infezione virale, anche quella della normale influenza. Gli accertamenti possono arrivare a una sicurezza magari del novantacinque per cento, ma mai del cento per cento. È chiaro? Per esempio, potrebbe essere rimasto nel paziente l’RNA del virus, allora il tampone dice che sei ancora infetto. Ma quell’RNA, cioè il filamento di materiale genetico, non è più attivo perché le altri parti del virus non sono più presenti.

La seconda possibilità è il test sierologico. Ce ne sono in giro un centinaio di questi test che si fanno in maniera molto semplice, su una sola goccia di sangue. Però attenzione: non tutti sono validi e le cose non sono semplici, bisogna considerare alcuni fattori. L’organismo se attaccato da un virus sviluppa tre classi di immunoglobuline, cioè tre tipi di anticorpi: le IgM si sviluppano nei primi giorni della malattia. Intorno al decimo giorno si sviluppano le immunoglobuline G specifiche (IgG) e poi le immunoglobuline A, che sono presenti non solo nel sangue, ma anche nella saliva e nelle lacrime, per esempio. Le IgG sono quelle che hanno “memoria”, quelle attivate dai vaccini, capaci di protezione a lungo termine contro i microorganismi. Ora, solo alcuni test rapidi sono in grado di capire se queste immunoglobuline G siano attive e capaci di neutralizzare il virus. Se hai in effetti le immunoglobuline G specifiche anti-Coronavirus, significa che al settanta-ottanta per cento sei immune.

Per avere la quasi certezza del risultato, bisogna passare al terzo punto che dicevo, bisogna effettuare un test che si chiama ELISA. Non è una procedura strana, avviene così per ogni virus, compreso quello dell’influenza. Si fa attraverso un esame del sangue. Occorrono laboratori attrezzati come quelli degli ospedali o dei centri specializzati, non bastano una goccia di sangue e pochi minuti per avere il risultato. Però garantiscono una probabilità molto alta, intorno al novantacinque per cento”.

“Prudenza, se non arriva il vaccino ne avremo fino al 2022”

Per quanto riguarda la battaglia al virus, sappiamo ormai che le possibilità per vincere la guerra sono due: il vaccino, o la mutazione del coronavirus in una forma innocua. Per il primo i tempi, e l’efficacia, sono ancora incerti. E per la seconda invece, sappiamo che probabilmente dovremo aspettare molto più tempo.

“Noi stiamo studiando, cercando di capire, ma in poco tempo non è facile – ha continuato Remuzzi –  Per lo stesso virus non è facile. Vede, il virus è un parassita, il suo obiettivo è sopravvivere. Per sopravvivere deve trovare un modo tranquillo di essere ospite in altri organismi, compreso, ormai, anche quello umano».

Quindi dopo questa fase violenta potrebbe “tranquillizzarsi”?

“È probabile, nel corso degli anni. Potrebbe mutare e trasformarsi in un virus non così nocivo, come tanti virus del raffreddore, per esempio. Ma ci vogliono anni”.

La via che indica il medico è chiara: test alla popolazione e mantenere la prudenza, le distanze, le mascherine. Fino almeno a inizio 2022.

“Se non arriva il vaccino, il pericolo del contagio, dalle nostre parti, potrebbe protrarsi fino a circa il 2024”.

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