L'intervista

Doppio trapianto di fegato e rene: "Così sono salva"

Domenica 14 aprile è stata la Giornata nazionale della Donazione di organi e tessuti e cellule: le storie di due canturine che sono state sottoposte a trapianto

Doppio trapianto di fegato e rene: "Così sono salva"
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«Sono stata miracolata, io ero praticamente morta». Ivana Pellegrino, 54 anni, è di origini siciliane ma vive a Cantù da oltre 20 anni, dal dicembre del 2003. A ottobre dell’anno scorso è stata sottoposta a un doppio trapianto, di fegato prima e di rene dopo, rimanendo in sala operatoria per tre giorni.

«Senza quell’operazione non sarei qui a raccontare la mia storia - ha puntualizzato - Solo 24 ore prima di quel 26 ottobre del 2023, i dottori mi avevano detto che se non fosse arrivato un fegato compatibile nel giro di un paio di giorni, non mi sarei più potuta sottoporre al trapianto. In pratica mi stavano dicendo che sarei morta».

Cosa ha pensato in quel momento?

«Ho una forte fede cattolica. Davanti a me avevo due alternative che dipendevano dalla volontà di Dio: o avrei ricevuto l’organo di cui avevo bisogno oppure avrei donato i miei».

Di cosa era affetta?

«Soffrivo di rene e fegato policistici, una patologia rara di cui ero affetta fin dalla nascita. Sono sempre stata in cura, con anche terapie sperimentali come il Tolvaptan, che ho sempre ben tollerato».

Dentro e fuori dagli ospedali quindi fin da giovane?

«Assolutamente no. Nessun ricovero fino a giugno dell’anno scorso. Ciò nonostante per far fronte a una mia eventuale insufficienza renale e non volendo fare la dialisi, avevo iniziato i primi colloqui per intraprendere il percorso verso un trapianto da vivi da sorella o cugina. Poi tutto è precipitato».

Cosa è successo?

«Ho dapprima accusato un forte prurito, poi una febbriciattola e quindi una fitta sul fianco destro. Ho fatto degli esami dai quali sono emersi valori sballati relativi però al fegato e non ai reni».

Cosa le hanno detto i medici?

«Hanno pensato fosse la rottura di una cista. Ho fatto una Tac all’ospedale di Como e il 7 luglio sono stata ricoverata in nefrologia. Ma una settimana dopo sono stata colpita da sindrome epatorenale».

Con quali conseguenze?

«Sono aumentata di 14 chili solo di liquidi, perché di peso massa sono arrivata a pesare 42 chilogrammi, decisamente al di sotto del peso ideale».

Quale è stata la causa?

«I medici hanno pensato a un batterio, che in realtà non è mai stato isolato né a Como né al Niguarda. Più probabilmente era legata al fegato, che quando mi è stato “sostituito” pesava grossomodo 8 chilogrammi, circa 4 volte in più di uno normale».

Come ha proseguito le sue terapie?

«Al Niguarda hanno completato lo studio per il trapianto e mi hanno messo in lista d’attesa. In realtà io ho dato subito il mio assenso per il doppio trapianto di fegato e rene, che in Italia si fa solo dal 2019 ed esclusivamente a Milano, Padova e Roma».

Come viene eseguito?

«Si svolge in tre giorni. Prima viene portato a termine il trapianto del fegato, che nel caso mio è durato 11 ore. Poi il paziente viene lasciato a letto con circolazione extracorporea per circa 48 ore, al fine di verificare che il fegato inizi a lavorare bene. Dopodiché procedono al trapianto del rene».

Cosa ha pensato quando si è svegliata dopo il doppio trapianto?

«Ero felice. Nei mesi precedenti avevo patito le pene dell’inferno, una sofferenza indicibile. Io sono rinata e subito ho sentito quella sensazione di benessere malgrado tutti gli sforzi che ho fatto e devo ancora fare per rimettermi al 100%».

Una miracolata ritiene di essere?

«Esattamente. Metta in conto che in quelle fatidiche 48 ore entro cui o facevo il trapianto o sarei morta, è arrivato un primo fegato, mi hanno allertata, ma poi mi hanno comunicato che non era utilizzabile. In quel momento le mie speranze di salvarmi erano davvero poche. Poi addirittura sono arrivati fegato e rene da un solo donatore...».

Ovviamente non sa chi sia stato il suo donatore.

«Solo che era un ragazzo di 25 anni. Quelli erano stati giorni con un forte maltempo e molti incidenti. Penso sempre che sia stato una vittima di uno di quei sinistri».

Di certo le ha salvato la vita?

«A me sicuramente, ma penso anche ad altri. Basti dire che quel fegato è stato trapianto a me solo per metà, mentre l’altra è andata a un’altra persona, così come l’altro rene».

Ora come si sente?

«Molto bene. Tutti gli esami vanno benissimo e il percorso riabilitativo pure. I primi sei mesi per recuperare sono stati i più difficili ma ora spero di tornare anche a lavorare presto. Un messaggio lo voglio lanciare...».

Quale?

«E’ importante diffondere la cultura della donazione, ma anche quello di non aver paura a sottoporsi al trapianto. Molti temono l’operazione senza tenere conto che, nella maggior parte dei casi, è il solo modo per salvare la propria vita».

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