L'intervista

Due patologie croniche, dai sintomi alla diagnosi: "Non ero la persona di prima e non lo sono più"

Laura Moschino, 38 anni, referente di "Carugo Insieme", racconta la sua storia.

Due patologie croniche, dai sintomi alla diagnosi: "Non ero la persona di prima e non lo sono più"
Pubblicato:
Aggiornato:

Il 12 maggio si celebrano le Giornate Mondiali della Sindrome da Fatica Cronica (CFS o Encefalomielite mialgica) e della Fibromialgia, due campagne internazionali di informazione e sensibilizzazione su due malattie croniche particolarmente difficili da diagnosticare. La CFS è caratterizzata da una stanchezza intensa e continua che, unita ad altri disturbi molto variabili per gravità e intensità, può essere altamente invalidante. La fibromialgia, invece, è una malattia cronica che provoca dolore diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, stanchezza cronica e riduzione del tono dell'umore. In occasione delle due ricorrenze abbiamo intervistato Laura Moschino, 38 anni, referente di "Carugo Insieme" che soffre di entrambe le patologie. Ecco l'intervista.

Come è arrivata la diagnosi di sindrome da fatica cronica e quanto tempo è intercorso dalla comparsa della sintomatologia all'accertamento?

"Nel mio caso, la diagnosi è arrivata circa dieci anni e mezzo dopo, rispetto ai primi esordi della malattia: a settembre 2003 ho cominciato ad accusare problemi di intolleranze alimentari. Era il mio terzo anno di università e, per molti specialisti, il problema principale era lo stress dovuto al percorso di studi. Peccato che mi piacesse moltissimo e non mi sentissi affatto stressata o angosciata, anzi! Ricordo che ho scritto la tesi a mano e mia madre la batteva a computer perché, farlo, mi affaticava troppo e non sarei riuscita a lavorare per più di mezz’ora. Quando dovevo andare a Milano per frequentare i corsi o consegnare la tesi al mio relatore, spesso, scendevo dal treno a Cadorna e prendevo la metro fino a Sant’Ambrogio, ma, anche da lì, l’università mi sembrava lontanissima … ed era solo a poca distanza, dato che frequentavo l’Università Cattolica del Sacro Cuore presso la sede di Largo Gemelli. Dopo circa un anno, avevo ricevuto diverse diagnosi di intolleranze alimentari agli zuccheri, tra cui il lattosio, di malassorbimento del glutine e di ipotiroidismo: si trattava solo di controllare l’alimentazione e avere uno stile di vita sano. Eppure, dopo dodici mesi tra letto e divano o tra divano e letto, controllando scrupolosamente tutto ciò che mangiavo … non ero più la persona di prima. E non lo sono stata mai più: mi mancava sempre una tacca, per arrivare alla piena carica della batteria".

Quali sono stati i suoi "campanelli d'allarme"?  È stato il medico di base o uno specialista ad ipotizzare per primo la possibile presenza di questa patologia?

"A ottobre 2013, il tracollo: nel giro di un mese ho cominciato a sentirmi stanca, sempre più stanca e ad accusare dolori, prima alle gambe, poi, ovunque, persino al volto: mi faceva male anche solo sfiorare le guance. Lo specialista che mi seguiva per le intolleranze alimentari, dopo aver prescritto vari integratori senza risultato se non un costante peggioramento, mi ha indirizzata da un neurologo dato che, ormai, avevo dolori, colpi di sonno improvvisi durante il giorno e, anziché camminare, mi trascinavo. Il primo neurologo che mi ha visitata ha subito ipotizzato che fossi affetta da fibromialgia – il che spiegava i dolori – e da stanchezza cronica. Sino ad allora, non avevo mai sentito parlare di nessuna delle due. Per avere la certezza, occorrevano una serie di accertamenti di esclusione perché, nel caso della fibromialgia si escludono patologie più gravi quali la miastenia, quindi il reumatologo va a testare una serie di punti chiamati trigger points; invece, per la stanchezza cronica, la condizione deve permanere per almeno sei mesi e si devono escludere tutte le altre possibili cause, organiche e non, di stanchezza. Terminati gli accertamenti, e scoperto che, presso l’Ospedale Sant’Anna di Como, c’erano diversi specialisti che si occupavano di questa patologia, a marzo 2014, in occasione del primo contatto con il mio attuale neurologo, è arrivata la conferma della diagnosi: l’esordio era da ricercarsi in quel lontano 2003 mentre il 2013 era stata “solo” una recrudescenza della malattia, ma non il punto di partenza. Nel mio caso specifico, ciò che ha innescato la CFS è stato un banale herpes labialis, la “febbre” sulle labbra. Ne ho avuti di più estesi e più dolorosi, l’ho potuto ricordare solo guardando le foto della vacanza di agosto 2003: questa è la banalità di tale malattia!".

Che disturbi lamenta tra i diversi riconducibili a questa patologia? La sintomatologia si è evoluta nel tempo?

"I disturbi sono innumerevoli e variano nel tempo: a volte, subentra qualche nuovo problema, a volte sintomi precedenti si manifestano in forma nuova. La difficoltà sta nel fatto che è una sindrome, vale a dire una patologia che colpisce su più fronti, che coinvolge più organi e che, spesso, lo fa in modo anomalo. Alimenti, farmaci, ma anche prodotti per la cura e la detersione, cosmetici, creme, ogni cosa con cui si entra a contatto va testata e non è detto che ciò che oggi va bene, faccia altrettanto tra un mese. Testare qualcosa significa aprirsi alla possibilità di reagire, vale a dire, perdere altre energie e peggiorare la stanchezza, anche per giorni".

Com’è cambiata la sua vita? Dal punto di vista lavorativo c'è stato qualche cambiamento?

"La mia vita si è completamente stravolta: ho dovuto riscrivere tutto! Sul fronte lavorativo, lavoravo come libera professionista in quanto dottore in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche, in particolare in Philosophy for Children/Community. Ho dovuto abbandonare questo lavoro perché troppo spossante. Fortunatamente, avevo svolto il servizio civile in biblioteca, innamorandomi del meraviglioso lavoro del bibliotecario, professione che, da tre anni svolgo, a tempo indeterminato, presso la biblioteca di Meda. Non è facile perché tutti i giorni bisogna lavorare e, non sempre, ho le energie per farlo, ma ho colleghi a cui posso chiedere aiuto, ad esempio, con i libri più pesanti o quando ho necessità di cambiare mansione o fare una pausa per recuperare le energie. Una svolta molto positiva è stata costituita dallo smart working: per un malato di CFS significa risparmiare energie preziose che può spendere nel lavoro e spero che, in futuro, si possa continuare a fruire di questa risorsa, anche solo al bisogno. In Italia, fibromialgia e CFS sono patologie che non comportano esenzioni: tutta la spesa sanitaria e farmacologica è a carico del paziente. Sotto il profilo del riconoscimento della disabilità, nessuna delle due è tabellata, il che significa che è a discrezione delle commissioni INPS riconoscerle e, in quale misura. Oltre a gestire una quotidianità fortemente compromessa dalla malattia, occorre preoccuparsi di tutta una serie di aspetti economici e pratici che producono stress e concorrono a peggiorare la patologia stessa. In tal senso, l’auspicio è quello che si possa ottenere un riconoscimento istituzionale a livello nazionale".

Sta seguendo una terapia specifica?

"Per la fibromialgia, sono in terapia del dolore: ogni giorno, mattina e sera, ho degli antidolorifici da assumere. Al contrario, per la stanchezza cronica, non esiste una terapia specifica e vi sono alcune criticità intrinseche: l’organismo tende all’assuefazione, per cui, le terapie devono essere di breve periodo, ripetibili a distanza di tempo; ogni malato ha una sua storia clinica e delle sue reazioni, quindi, non esiste un protocollo standard, ma si devono studiare cure su misura per ogni singolo paziente".

Ha concluso il percorso di "accettazione" della diagnosi? È stato difficile?

"Quando ho ricevuto la diagnosi, sono stata felice: dopo anni, in cui non sono più stata la persona che ero e in cui mi sono sentita costantemente inadeguata, finalmente, avevo un nome! In realtà, anche se già ci convivevo da dieci anni, dal 2013, le mie tacche di energia sono scese ulteriormente e ho dovuto cominciare a fare i conti anche con la fibromialgia. La difficoltà di accettazione della diagnosi, se possibile, è arrivata dopo. Sono patologie che possono avere miglioramenti e peggioramenti. Ovviamente, una persona, spera nel miglioramento. Quando, però, trascorrono settimane, mesi, anni e i miglioramenti non si vedono, solo allora, si comprende il significato della parola “cronica”: un parola che ha un peso notevole e che significa che io non posso separarmi da me stessa, anche se sono stufa, anche se vado in vacanza, questa cosa è sempre con me".

Vuole dare un consiglio a chi ha appena ricevuto questa diagnosi o a chi sospetta di averla ma sta avendo difficoltà nel suo accertamento?

"Il consiglio che darei a chi si trova impegnato in un percorso di accertamenti e diagnosi è di andare sino in fondo, mentre, a chi ha appena ricevuto questa notizia direi di non aspettare i miglioramenti: potrebbero arrivare, ma potrebbero anche non farlo, quindi, aspettare significa solo sprecare tempo. Ascoltatevi e imparate a conoscervi, così potrete dosare le vostre energie e scegliere come usarle".

Jennifer Caspani

Seguici sui nostri canali