STORIE SOTTO L'OMBRELLONE

Ex carcerato porta l'arte nei penitenziari

Il Giornale di Cantù regala ai lettori di Primacomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2021 sulle pagine del nostro settimanale. Una piacevole lettura sotto l'ombrellone.

Ex carcerato porta l'arte nei penitenziari
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Aiutare i reietti. E’ diventato lo scopo della sua vita, dopo aver vissuto emarginato dalla società. Giovanni Marelli, 70 anni, nella sua vita ha sbagliato e ha pagato. Prima perdendo tutti i ristoranti che aveva aperto negli anni Ottanta, diventando un manager della ristorazione con attività sparse in tutto il mondo. Poi con il carcere e infine vivendo quell’emarginazione sociale della quale è spesso vittima chi ha scontato una pena detentiva. Ma Marelli, canturino doc cresciuto all’oratorio di San Michele, non si è arreso. Ha deciso di dedicare la sua vita a chi, come lui, ha vissuto una parentesi «sbagliata», ma intende risollevarsi e ripartire. Ha così fondato l’associazione di promozione sociale «Cisonoancheio», che ha la sede a Milano. «E’ nata quando mi sono accorto che non c’era nessuno ad accogliere le persone che escono dal carcere».

Ex carcerato porta l'arte nei penitenziari

Prima di finire in carcere è stato un manager della ristorazione affermato.
«A 14 anni sono andato a lavorare all’hotel Swiss. Facevo il cameriere. Poi ho aperto il mio primo ristorante e da lì molti altri in tutto il mondo, da Dubai a Miami, da Seattle a Saint Martin, nelle Guadalupe».

Poi cosa è successo?
«Sono stato la prima vittima di Mani Pulite».

Cioè?
«Era il 1989 quando sono stato accusato da Antonio Di Pietro di concussione per aver fatto qualche regalo ad alcuni poliziotti. Ma non l’ho mai fatto per trarre vantaggi personali».

Allora per quale motivo?
«Nel 1984 ho fatto il mio primo viaggio in Ski Lanka. Da quella volta ho deciso di aiutare i cingalesi che venivano in Italia per avere i permessi di soggiorno».

Lei è stato raggiunto da un mandato di cattura internazionale?
«Esattamente. Ero a Saint Martin quando sono stato prelevato e portato in Italia».

Quali sono state le conseguenze?
«Sono stato condannato a piede libero e ho perso tutte le attività».

E’ stato a quel punto che si è avvicinato al crimine?
«Sì. Non trovavo lavoro e per sopravvivere ho iniziato a fare l’autista della droga. Sino al 2004, quando sono stato arrestato».

Poi è arrivata la condanna.
«Mi hanno dato 15 anni per traffico internazionale di droga».

Quanti ne ha passati in carcere?
«Dieci. Due me li hanno scontati per buona condotta e per gli altri tre sono stato affidato ai servizi sociali. In altri termini mi hanno gettato in mezzo a una strada...».

In che senso?
«Non avevo nulla, né un reddito né una casa dove andare. Per questo motivo sono finito al dormitorio».

Cosa ha fatto a quel punto?
«In un primo momento ho chiesto per sei volte di fare ritorno in carcere. La società che avevo lasciato 10 anni prima non era più quella che mi trovavo a vivere tornato libero. Però sono stato baciato dalla fortuna...».

In che modo?
«Ho trovato due persone che mi hanno aiutato a trovare un alloggio. Era l’inizio del 2016».

Quella è stata la svolta della sua nuova vita?
«Sicuramente. Per quanto lentamente, ho ripreso a vivere. Ma non ho mai dimenticato l’esperienza in carcere, dove si ha un solo nemico».

Quale?
«Il tempo. Il rischio è diventare un parassita del tempo. Se lotti contro il tempo, muori d’ansia. Ma se cerchi di dargli un senso, allora è possibile sopravvivere».

Lei come è riuscito a dare un senso al suo tempo in carcere?
«Coltivando la parte artistica che è dentro di me. Sono diventato così l’“artista del disagio”. Una delle mie opere è esposta anche nella sede della Cassa Rurale ed Artigiana di Cantù. Ho iniziato a scrivere le mie sensazioni, che qualcuno poi ha chiamato poesie. Ho scritto un libro raccogliendole, dal titolo “Domandarsi perché”. Si può acquistarlo per due euro e mezzo in ebook e quel contributo, così come tutti quelli che raccolgono dando in cambio le mie opere, finisce all’associazione che ho contribuito a fondare».

Ci racconti di questa associazione, «Cisonoancheio».
«Non l’ho fondata da solo, ma con l’aiuto di tre italiani e di tre extracomunitari, nel 2018. Siamo tutti reietti, persone emarginate dalla società: ex carcerati ed extracomunitari che vogliono trovare una nuova collocazione nella comunità. Noi non diamo il pesce, dico sempre, ma la canna da pesca. In un anno, un anno e mezzo, la persona che aiutiamo deve essere in grado di cavarsela da sola».

L’ultima iniziativa che l’associazione ha promosso si chiama «Pollo volante». In cosa consiste?
«Vogliamo cucinare per tutti. Il pollo lo possono mangiare tutti, cristiani, musulmani ed ebrei. E’ il pollo della pace. “Volante” perché lo consegniamo a casa a un prezzo accessibile. Per ora il servizio è a Milano, ma può essere esteso dovunque, in qualsiasi città».

A novembre è previsto anche un grande evento.
«Al tribunale di Milano ci sarà “L’arte che esce dal carcere”. Io per primo esporrò la mia opera in una galleria che si chiamerà Spazio-Tempo dedicata ai detenuti e gestita da Kubeart. Dopo la mia, verranno esposte a turno le opere di altri carcerati. La finalità è ancora quella di portare l’arte in carcere».

(Giornale di Cantù, sabato 10 aprile 2021)

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