La testimonianza

Giorno del Ricordo: "La mia famiglia ha lasciato tutto per rimanere italiana"

Il Giorno del Ricordo verrà celebrato alle 10 a Cantù al parco Martiri delle Foibe per ricordare quanti tra oppositori politici, militari e cittadini di lingua italiana vennero gettati nelle cavità carsiche dai partigiani di Tito

Giorno del Ricordo: "La mia famiglia ha lasciato tutto per rimanere italiana"
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"Mentirei se dicessi di avere memoria del viaggio che mi portò a Como. Però il mio primo ricordo d’infanzia è il rumore degli aerei che si avvicinavano per bombardare la mia città natale: Fiume".

Aveva solo quattro anni Ariella Diracca, classe 1942, quando sua madre, giovane sposina con il marito al fronte, fu costretta a lasciare tutto per restare italiana.

"Mia madre aveva appena terminato di arredare la sua casa da sposata, un bellissimo appartamento che si affacciava direttamente sul golfo, ma fu costretta a vendere persino il divano in pelle per poter pagare il viaggio per me e lei fino a Como", ricorda.

Italiani, slavi, ebrei, ungheresi e austroungarici in pace

La famiglia Diracca, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, era solo un esempio di quella popolazione italofona che rappresentava una gran parte dei residenti di Fiume, oltre 52mila abitanti all’epoca. "Era una città multietnica, un crogiolo di culture", sottolinea. Convivevano in pace italiani, slavi, ebrei, ungheresi, austroungarici.

"Anche nella nostra famiglia c’era chi aveva cognome italiano come me, chi lo aveva slavo e chi invece di matrice germanica" ha spiegato Ariella.

Un esempio di convivenza e multiculturalità, diremmo oggi, ma che dopo il 1945 e l’avvento del Comunismo di Tito, che fino alla sua morte resterà presidente della Jugoslavia, venne completamente spazzato via.

La partenza obbligata

"Una volta che presero il comando, ogni cittadino doveva prendere una decisione - ha spiegato - Se si voleva restare a Fiume (oggi Rijeka, in Croazia, Ndr) bisognava scegliere di essere jugoslavi, cambiando nazionalità, tra angherie e ritorsioni di ogni tipo. Se invece si voleva continuare a essere italiani, bisognava lasciare la città e recarsi in Italia".

Mentre gli italiani, soprattutto i tantissimi che in città erano stati funzionari della pubblica amministrazione e quindi ritenuti fascisti, ma anche professionisti e rappresentanti della borghesia che non volevano piegarsi a questa imposizione finirono infoibati, la mamma di Ariella fece l’unica scelta possibile per la sua famiglia: lasciare tutto e partire.

L'arrivo a Como

"Mia madre prese me e qualche masserizia e ci caricò su un treno che si fermò alla stazione di Como San Giovanni dove ci aspettava mio padre..."

L’intervista integrale sul Giornale di Cantù da sabato 10 febbraio 2024 in edicola
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