STORIE SOTTO L'ALBERO

"I miei 20 anni in Croce rossa"

Il Giornale di Cantù regala ai lettori di Primacomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2021 sulle pagine del nostro settimanale.

"I miei 20 anni in Croce rossa"
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«La cosa più bella di questo lavoro? Ti fa apprezzare ancora di più la vita». Non ha dubbi Mauro Briccola, 45 anni, su ciò che rende speciale il suo impegno (non solo lavorativo) in Croce Rossa. L’1 agosto ha festeggiato i 20 anni di assunzione all’interno dell’organizzazione canturina, ma la «storia d’amore» è cominciata ben prima...

"I miei 20 anni in Croce rossa"

Quando è stato il suo primo contatto con la Croce Rossa?
«Ad aprile del 1996 ho iniziato con il servizio civile a Cantù, al posto del servizio militare. Finito quello ho fatto il corso di volontario del soccorso a Montorfano, perchè a Cantù non c’era. All’epoca durava tre mesi e poi altri tre mesi di tirocinio. Quindi ho iniziato a fare il volontario nel novembre del 1997».

Quando è arrivata l’assunzione?
«L’1 agosto del 2001».

Cosa l’ha spinta a entrare in contatto con questa associazione di volontariato?
«Direi che è stato molto casuale. Ho fatto domanda di servizio civile e potevo capitare ovunque, anche in Comune. E’ stato un caso. Poi queste associazioni sono un punto di aggregazione molto forte. In poco tempo mi sono reso conto che si univa l’utile al dilettevole e si sono create delle amicizie che potevo coltivare anche fuori dal lavoro. Quando sono arrivato avevo 20 anni e non avevo tantissime amicizie, per cui trovarmi in un ambiente come questo mi ha fatto sicuramente molto piacere».

Chiuso il servizio civile ha iniziato quindi a fare il volontario.
«Sì, nel frattempo lavoravo nella tipografia di mio padre. Dopo cinque anni sono andato a lavorare a Fino Mornasco, quindi, dopo un anno ho chiesto al presidente della Cri, che allora era Frigerio, se conosceva qualcuno che mi potesse dare un lavoro. Mi ha risposto che proprio in Croce Rossa avevano bisogno del cosiddetto factotum. Fino al 2014 ho fatto prettamente lavoro di ufficio, poi mi hanno chiesto se potevo alternarmi dando una mano anche fuori. Ho le qualifiche da volontario, quindi l’ho fatto volentieri».

Qual è il ricordo più bello di questi 20 anni di lavoro in Croce Rossa?
«Ricordi particolari ce ne sarebbero tantissimi, ma la cosa più bella è che la gente ti riconosce per quello che fai tutti i giorni. Quando ho scritto su Facebook che festeggiavo i miei 20 anni in Croce Rossa hanno commentato tantissime persone e i complimenti mi hanno gratificato. Mi fa piacere che mi apprezzino per l’impegno. Io mi considero sempre l’ultima ruota del carro, non mi è mai piaciuto essere in prima linea, però mi piace stare in mezzo alla gente. Per questo come volontario partecipo spesso alle manifestazioni sportive, perchè sono a contatto con le persone».

Non svolge servizio di Emergenza urgenza?
«Onestamente non sono un gran patito di 118. Da un lato negli anni è sempre diventata più professionale, dall’altro lato in tanti chiamano l’ambulanza solo perchè non trovano il medico o la guardia medica e questo è profondamente sbagliato».

Ma cosa apprezza particolarmente del suo lavoro?
«Ci sono tanti lati positivi. Bello è anche portare i vecchietti a fare le visite. Oppure portare gli aiuti dopo il terremoto a L’Aquila. Ricordo anche quando abbiamo trasportato i malati al Giubileo di Roma o a Lourdes».

Come convincere la gente a seguire la sua strada?
« La Croce Rossa ha tante sfaccettature, anche socio assistenziali, e ognuno può dare quello che riesce. Se una persona non se la sente di uscire in ambulanza può anche venire a lavorare al centralino oppure a dare una mano per la raccolta fondi, tanto per fare due esempi».

Come è cambiato il lavoro in Cri con il Covid?
«La Croce Rossa si è indirizzata soprattutto sull’assistenza sanitaria e sulla raccolta viveri e fondi per le famiglie bisognose, perchè purtroppo con il Covid la povertà ha raggiunto dei livelli altissimi».

Ha avuto paura, visto che ogni giorno poteva entrare a contatto con qualche persona positiva?
«E’ brutto dirlo, ma questo è un lavoro che ti fa superare abbastanza velocemente le paure. Sei preoccupato certo. Con il Covid, poi, non sapevamo nemmeno in che direzione dovevamo andare. Però talvolta diventa routine e le paure le superi in fretta. La cosa bella di questo lavoro è però che ti fa apprezzare di più la vita. Ti rendi conto che spesso discuti per cose frivole mentre c’è tantissima gente che soffre. Per esempio i dializzati, le persone che porti nei reparti di oncologia, i bambini che porti in ospedale... ti aiuta il giusto valore a tutto».

Isabella Preda

(Giornale di Cantù, sabato 7 agosto 2021)

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