Il mister: "Società, i bulli a casa e non in campo per le quote d'iscrizione"
Romano Nello, allenatore di calcio, denuncia una situazione che riguarda i settori giovanili

«I bulli vanno lasciati a casa, ma spesso le società non lo fanno perché le famiglie pagano la quota d’iscrizione annuale e non vogliono rischiare di perderle».
A denunciare un malcostume, a detta sua ormai dilagante nei settori giovanili delle squadre di calcio, è l’allenatore Romano Nello, di Mariano Comense.
Il mister: "Società, i bulli vanno lasciati a casa"
«Noi mister dobbiamo ricordarci di essere prima di tutto educatori, perché non tutti i ragazzi che alleniamo continueranno a giocare a calcio, ma devono conoscere i veri valori della vita. Dobbiamo insegnare i principi di gioco, ma soprattutto aiutarli nella crescita. E per farlo serve attenersi a delle regole e rispettare ogni membro del gruppo squadra». Il tecnico, che oggi allena tra le fila della Stella Azzurra di Arosio, fa riferimento ad alcuni episodi avvenuti in passato in altre realtà del territorio: «Mi è capitato di trovarmi di fronte a ragazzini che prendevano in giro o facevano dispetti ai compagni più educati e tranquilli oppure a chi aveva un colore di pelle diverso dal loro, erano tutte forme di bullismo. Altri, invece, rispondevano male e non ascoltavano niente di quello che stavo dicendo. In questi casi ritengo sia corretto dare una punizione, perché se c'è una mela marcia tutto il gruppo deve ricevere un segnale e sapere che quel comportamento non porterà benefici. Serve semplicemente non convocare il ragazzo in questione per qualche partita, ma alla fine le società preferiscono non farlo perché l'unica cosa che conta è incassare i soldi dell'iscrizione. Mi è capitato di non ricevere supporto dalle società dopo aver preso questa decisione», ha rivelato.
L'appello ai genitori
A giocare un ruolo centrale in questa situazione sono anche i genitori dei ragazzi, i primi a lamentarsi di una mancata convocazione alla partita della domenica o pronti a fare pressing per vedere il proprio figlio in campo e non seduto in panchina: «”Io pago 800 euro all’anno, perché mio figlio non gioca?”, ho sentito diverse volte questa frase. Mamme e papà dovrebbero collaborare e capire che se il figlio si comporta male non può giocare, invece succede tutto il contrario. Faccio un appello anche a loro, insieme dobbiamo dare un segnale alle nuove generazioni e non continuare a lamentarci e difenderli. Spesso sentiamo parlare di baby gang, rendiamoci conto che a volte i componenti di questi gruppi sono all’interno di una squadra di calcio o comunque fanno attività sportive. Non possiamo far finta di nulla».
"Basta predicare bene e razzolare male"
Ormai da diversi anni gli allenatori sono chiamati a seguire dei corsi di formazione così da avere le conoscenze di base per trattare con le nuove leve: «Se predichiamo bene e poi razzoliamo male, facendo giocare il bullo, a cosa servono tutte queste ore che facciamo con esperti della materia? Scuola e sport sono fondamentali per insegnare i valori. Allenatori, società e genitori devono ricordarsi che giocano tutti la stessa partita». Il concetto è semplice: i minuti in campo, i gol segnati o i rigori parati non sono le vere vittorie per diventare grandi.
Arianna Sironi