L’esperienza di Maria Grazia Atzori alla Fondazione Borletti di Arosio è durata 25 anni ed è stata arricchita da un contesto professionale e umano di altissimo livello. Adesso, la coordinatrice del settore fisioterapia si godrà la meritata pensione.
In pensione la storica fisioterapista della Rsa
Atzori è entrata in Borletti nel 2000 dopo un periodo di collaborazione che è iniziato nel 1997. Ancora oggi la riconoscenza per i datori di lavoro è evidente: «L’azienda mi ha assunto e ha avuto fiducia in me. Per questo posso solo ringraziare. Sono entrata in contatto con la Borletti casualmente, in un momento in cui la loro domanda di lavoro coincideva con la mia offerta e con un ampliamento d’organico. È iniziata così una fruttuosa collaborazione». Il legame tra azienda e Atzori ha messo subito solide radici e ha attraversato diversi cambiamenti: «Dal punto di vista del mio lavoro si è modificata la tecnica ma, soprattutto, è maturata la consapevolezza che i pazienti fossero residenti». Questo dettaglio non è per nulla banale: «La relazione si prolunga ed è diversa rispetto al lavoro in un ambulatorio. Ci sono persone con cui ho avuto contatti per tanto tempo, sia nell’arco dello stesso giorno sia nell’arco di mesi o anni. Si crea così una conoscenza approfondita e un legame intimo, personale. Spesso si diventa confidenti e si comprende qualche bisogno». Atzori sottolinea: «Non è solo una questione di cura ma si è compagni di viaggio. La struttura crede in questo tipo di approccio».
Un impiego, dunque, che va oltre il «timbrare il cartellino»: «È un lavoro che ho scelto e che mi è sempre piaciuto. Sostenere delle persone che hanno perso o ridotto delle funzioni e che, con un aiuto, possono migliorare è qualcosa che porta gioia. Si contribuisce al benessere di un individuo e ci si sente realizzati».
La dimensione umana, inoltre, è preponderante: «Mi piaceva curare i pazienti, entrare in relazione e in empatia con loro. Poi, con il tempo, si affina anche la tecnica. La pratica aiuta tantissimo». Cruciale anche il rapporto con i colleghi: «In una struttura così complessa dal punto di vista organizzativo serve avere la capacità di interfacciarsi con le altre figure professionali. È un altro dato di questo lavoro, ci si deve relazionare con gli altri colleghi». D’altronde, serve anche il lavoro di squadra: «È una necessità causata dalla complessità dei problemi che dobbiamo affrontare. Ciò si vede molto di più rispetto agli ambulatori. Ognuno deve mettere le sua abilità e deve avere la capacità di relazionarsi con gli altri».
Ma quale saranno gli elementi che mancheranno di più ad Atzori?: «Mancheranno i volti e i ricordi legati ai pazienti. Mancheranno i colleghi con i quali ho vissuto momenti belli e diversamente belli ma che mi hanno fatto sentire la loro stima e affetto, ovviamente ricambiati». E ora Atzori si godrà un po’ di relax: «Mi riposerò e cercherò di capire come occupare il tempo. Sicuramente c’è la famiglia e alcuni hobby che ho trascurato». L’ex lavoratrice della Borletti conclude: «Grazie ancora ai miei datori di lavoro e alla fondazione. È stato un onore collaborare e li ringrazio per la fiducia».
Tommaso Minotti