Doveva essere una semplice esperienza all’estero, un periodo per conoscere una realtà diversa. Invece giorno dopo giorno si è trasformata in un’opportunità inaspettata di scoperta, non solo di un nuovo paese ma sopratutto di se stesso. Ecco cosa è successo a Davide Pardini, 28 anni, da sempre volontario in prima linea della Protezione civile di Carugo e dallo scorso agosto impegnato nel percorso di Erasmus all’Università Chalmers a Göteborg, in Svezia. Qui sta ultimando gli esami della laurea magistrale in Ingegneria energetica prima di rientrare in Italia per scrivere la tesi.
L’Erasmus in Svezia
L’idea di partire non era inizialmente nei suoi piani. Racconta:
«Non avevo mai tenuto in considerazione l’Erasmus sia per una questione caratteriale sia perché ho sempre avuto un po’ di timore a dovermi adattare a un posto nuovo, lontano da casa, in cui parlano una lingua sconosciuta. Ma nell’ultimo periodo ho sentito il bisogno di cambiare qualcosa nella mia vita e di provare a buttarmi».
Si è quindi candidato al bando optando come prima scelta per Siviglia, in Spagna, la sorte ha però scelto per lui la Svezia e di questo Pardini non ha nessun rimpianto:
«I paesi del nord sono all’avanguardia nel settore che sto studiando. Se dovessi rifare la scelta adesso, metterei al primo posto Göteborg perché mi sto trovando davvero bene».
La vita nel Nord Europa
Le ragioni non sembrano mancare. Spiega il 28enne:
«È la mia prima esperienza di vita in un centro abitato grande e diverso da Carugo, questa è la seconda città più popolosa della Svezia. È tutto ordinato, preciso e funziona alla perfezione. Qui non sento lo stress, il traffico e la caoticità che si vive a Milano e nella Brianza in generale. La gente è un po’ fredda ma sto imparando a conoscerli e mi trovo molto bene con i miei compagni di Erasmus, probabilmente più propensi a conoscere nuove persone. Inoltre, devo riconoscere che non vedo povertà e questo è un fattore che fa la differenza. Il costo della vita è sicuramente più alto ma gli stipendi viaggiano di pari passo».
Per non parlare del senso di sicurezza:
«È molto diverso rispetto a quanto si vive nelle nostre zone dove spesso si percepisce insicurezza in città e c’è il diffuso timore che i ladri possano fare irruzione in casa: qui ci si sente sicuri. Mi è capitato di andare a Stoccolma in treno alle quattro di mattina e ho notato che c’erano in giro ragazzini di dieci anni. Uno scena a cui in Italia è impossibile assistere».
L’università svedese
Oltre alla società, è stato soprattutto il mondo dell’università a stupire Pardini. In Svezia ha trovato un contesto completamente diverso rispetto a quello italiano, attento alle singolarità degli individui e a creare un ambiente di crescita sano dove far fiorire le creatività e le potenzialità degli studenti.
«Quello svedese è proprio un altro mondo, esistono cose che da noi sono impensabili, a partire dai rapporti tra universitari e professori: il modo in cui si approcciano è umano e salutare. Da noi gli insegnanti spesso amplificano un “clima di terrore”, gli svedesi invece mantengono un atteggiamento sereno: ho appena fatto un esame ed è stato più simile a una normale chiacchierata».
Il punto di forza dell’università svedese che il carughese ha messo in luce è stata l’attenzione particolare dedicata alla salute mentale degli studenti:
«Qui non è considerato un aspetto secondario, sia da parte dei singoli individui che delle istituzioni. Esistono numerose iniziative pubbliche sul tema, spesso finanziate dalle università: già dalla prima lezione i professori hanno illustrato i servizi offerti e i numerosi eventi sociali che si portano avanti, spiegando che è importante studiare ma che ancora più fondamentale è avere una vita sociale ricca». Il paragone con la realtà italiana è stato immediato: «Anche a Milano esistono iniziative similari ma persiste ancora tanto timore e pregiudizio nel rivolgersi a questi servizi. In Svezia, al contrario, curare la propria salute mentale è considerato normale. Il risultato è che l’ansia che si prova per gli esami, se a Milano è paralizzante, in Svezia l’ho sentita appena un decimo. In generale esiste una concezione del tutto opposta alla nostra e vivono gli studi in maniera più tranquilla».
Spazio alla creatività
Non finisce qui, perché l’università svedese mette anche a disposizione gli strumenti per stimolare la creatività degli studenti:
«C’è un edificio dedicato alle passioni degli studenti proprio fuori dall’università. Se per esempio avessi voglia di imparare a costruire un mobile, so che lì potrei trovare tutti gli utensili necessari per imparare gratuitamente. La trovo un’iniziativa molto bella».
Il percorso di crescita
L’aspetto più positivo dell’esperienza che ha sottolineato Pardini è stata però la crescita che ha potuto realizzare grazie al periodo di studio all’estero:
«All’inizio avevo timore prima di partire. Non nascondo che fino al giorno prima la mezza idea del “quasi quasi rimango a casa” c’era e si è fatta sentire. Col senno di poi sono molto contento di essere partito, e anzi avrei voluto fare prima questa esperienza. Si trattava del mio primo viaggio lontano da casa per molto tempo, in una città con una lingua e cultura diverse in cui non conoscevo nessuno. Ho sempre saputo che alla peggio sarei potuto tornare a casa in qualsiasi momento, ma uscire dalla propria zona di comfort è sempre difficile. Inoltre, non mi sento mai davvero lontano da casa perché tutti, a partire da quel gruppetto stretto di Protezione civile, mi scrivono per sapere come sto, mi aggiornano con le notizie dal territorio, e questo mi fa sentire anche molto apprezzato».
Un futuro all’estero
La Svezia ha fatto scoprire al 28enne degli aspetti di se stesso che non avrebbe mai immaginato:
«Prima di partire non lo avrei mai pensato possibile ma ora mi piace ipotizzare che magari in futuro potrei tornare qui o vivere fuori dall’Italia. Sento un legame molto stretto con Carugo, un forte senso di dovere nei confronti dei miei genitori e anche le ore in Protezione civile sono un impegno che mi definisce e piace. Ma questa esperienza mi ha fatto scoprire cose nuove su di me, per esempio che alla domenica mattina, come mi entusiasma andare nei boschi con il gruppo, allo stesso tempo amo visitare musei. A livello professionale invece, sapevo già che mi sarebbe piaciuto lavorare in un’azienda grande che si occupa della costruzione di impianti di energia rinnovabile nel mondo. La Svezia mi ha “solo” aperto gli occhi sugli stimoli di viaggiare: se dovessi finire in una realtà del genere all’estero, sarei contento».
Adesso che si avvicina della fine dell’esperienza, è tempo di fare i conti con le emozioni:
«Mi avevano avvertito al momento di partire, ad agosto, che la cosa più difficile sarebbe stata tornare in Italia, e ora lo capisco bene: in questo paese ci lascio sicuramente un pezzo di cuore».