la riflessione

L'ex maresciallo Forcella sull'auto della scorta di Falcone: "Una manifestazione destinata a non ottenere risultati tangibili"

Un commento a latere della manifestazione organizzata dal Comune di Cantù con il Centro Studi Progetto San Francesco.

L'ex maresciallo Forcella sull'auto della scorta di Falcone: "Una manifestazione destinata a non ottenere risultati tangibili"
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Giornata importante oggi, 25 ottobre 2021, per la città di Cantù. E' arrivata infatti questa mattina la teca contenente i resti dell'auto della scorta di Giovanni Falcone, che andò completamente distrutta durante l'attentato di Capaci. Un'esposizione che apre una settimana di eventi per il ciclo "Noi siamo loro", fortemente voluto e organizzato dal Comune di Cantù con il Centro Studi Sociali contro le mafie Progetto san Francesco. Un'iniziativa sul quale ha voluto fare una riflessione l'ex maresciallo dei Carabinieri Carmine Forcella ritiratosi in pensione dopo l'operazione antimafia “La notte dei fiori di San Vito”, già consigliere comunale a Cantù e oggi all'Associazione Nazionale Carabinieri.

L'ex maresciallo Forcella sull'auto della scorta di Falcone

Riportiamo integralmente la riflessione dell'ex maresciallo Forcella.

"In relazione all’esposizione della teca in piazza Garibaldi dal 25 al 31 ottobre 2021 contenente i resti dell’auto Quarto Savona 15, cioè l’auto di scorta a Giovanni Falcone in occasione della strage di Capaci del 1992, a mio modesto avviso non sortirà l’effetto della consapevolezza di combattere la mafia perché il cittadino, vedendo com’è stata ridotta l’auto di scorta, si guarderà bene dal fare la segnalazione in caserma o agli organi di polizia. Chi me lo fa fare si domanderà, se il rischio è di finire così?

Ora, premesso che la mafia siciliana non è presente nel nostro territorio ove impera la ‘ndrangheta calabrese come ebbi a dire in un’intervista a questo giornale e pubblicata il 27 febbraio 2016 quando affermai che la memoria corta e l’indifferenza foraggiano la ‘ndrangheta, anche perché si pensa che essa è qualcosa di lontano, che riguarda “loro” e non noi, quando invece è in mezzo a noi come dimostrato da varie operazioni di servizio e, per ultimo, gli arresti eseguiti dai Carabinieri di Cantù il 26 settembre 2017 con conseguenti condanne (non tutte per associazione mafiosa).

La signora Tina vedova Montinaro, al teatro San Teodoro la mattina del 25 ha dichiarato che la mafia dopo la strage di Capaci è cambiata. In realtà dopo la strage di Capaci e di Via D’Amelio lo Stato ha avuto un sussulto di dignità e così a partire dal 9 gennaio 1993 (arresto di Totò Riina) sono cominciati gli arresti di latitanti eccellenti che fino ad allora avevano dormito sonni tranquilli. Certo, c’è voluto il necessario apporto dei pentiti, ma il risultato è stato ottenuto e la mafia lo ha capito. Infatti, i telegiornali e la radio del 19 e 20 febbraio 1995 hanno riferito che Cosa Nostra, per limitare i danni dei pentiti e per tornare nell'anonimato, ha abolito il "bacio", il "rito di affiliazione" e "Quest'uomo è la stessa cosa" nel presentare un soggetto ad altro mafioso.

E così la Mafia assurge sempre meno alle cronache se non quelle giudiziarie per vicende trascorse e connesse agli ammazzamenti, agli attentati, ecc. Non si deve però pensare che essa sia morta, che abbia perso potere, ma è ovvio pensare che sia tornata alla clandestinità e si sia riorganizzata dopo gli sconquassi degli arresti e dei pentimenti. Ha attuato, insomma, il principio di Jhon Torrio "un criminale tanto più è padrino quanto più riesce a sfuggire alle cronache".

Ma ciò anche perché i figli dei mafiosi sono stati mandati a scuola, si sono laureati, si sono infiltrati nelle istituzioni, quindi, come aveva già messo in atto la ‘ndrangheta, eccetto una minoranza, non ha più bisogno di uccidere e si è adeguata agli insegnamenti di Torrio. Riproporre, quindi, qualcosa che appartiene al passato ancorché con ferite ancora aperte sembra più una manifestazione, pur lodevole, destinata a non ottenere risultati tangibili.

La stessa programmata conferenza con l’illustrazione dei metodi di contrasto al fenomeno mafioso, non presente nel nostro territorio come detto prima, è un regalo che si fa alle organizzazioni criminali che così sapranno da chi e cosa guardarsi. È come il giocatore che svela le sue carte all’avversario. Non mi sembra una cosa positiva.

Resta comunque il fondamentale ruolo dell’uomo delle istituzioni che opera sulla strada, di colui che nota ed annota, che fa sentire il fiato sul collo a chi è sospettato di delinquere in modo organizzato. Poi c’è il ruolo del cittadino che più delle forze dell’ordine, nota le anomalie. Nota se uno, arrivato dal sud con le toppe nel sedere, dopo poco tempo dispone di denaro e comincia a fare vita agiata. È questa la segnalazione che deve fare anche e soprattutto in forma anonima. Sta alle forze dell’ordine poi monitorare il soggetto con tutti quei sistemi e quelle risorse che ha a disposizione.

È indubbio che dopo 28 anni dalle stragi del 1992, alcune domande sono rimaste senza risposte: chi avvisò e chi, del cambio di orario del volo da Roma col quale Falcone che aspirava all’incarico di procuratore antimafia, faceva rientro a Palermo? Chi avvisò quelli che dovevano premere il pulsante del timer che Falcone era partito dall’aeroporto di Punta Raisi di Palermo? Chi c’era sul luogo della strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992 che ispezionò i resti della borsa di Paolo Borsellino e portò via l’agenda rossa?
Capito tutto questo un plauso va a chi si è speso per questa manifestazione, per non dimenticare".

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