Nel 2022 andò sull’Everest dopo aver perso le gambe: "Ho ridefinito l'impossibile"
Andrea Lanfri, alpinista ed ex atleta paralimpico, è stato ospite della sezione Cai marianese

Era il 2015 quando Andrea Lanfri, oggi 38enne, è stato colpito da una meningite fulminante a causa della quale ha perso entrambe le gambe e sette dita delle mani. L’ex atleta paralimpico della nazionale italiana di atletica leggera e alpinista, originario di Lucca, giovedì 23 maggio è stato in sala San Carlo, ospite della sezione Cai di Mariano Comense all’interno del suo «ItalyTour2025», un viaggio in camper che unisce sport e solidarietà, coniugando la passione per l’alpinismo e l’attività sociale attraverso cui sensibilizza la popolazione sul valore della prevenzione mediante la vaccinazione. (Foto di copertina scattata da Ilaria Cariello)
Nel 2022 andò sull’Everest dopo aver perso le gambe: l'intervista ad Andrea Lanfri
Esattamente 10 anni fa la sua vita è cambiata radicalmente, cosa ricorda di quel periodo?
«E’ stato un anno particolare, perché una volta fuori dall’ospedale ho dovuto imparare nuovamente a fare tutto, comprese le cose banali. Col tempo ho ripreso a fare ciò che ho sempre fatto in montagna, la mia era una passione nata fin da bambino quando facevo le prime avventure coi miei amici durante le vacanze estive. E’ stato l’inizio della mia nuova vita a 29 anni».
Dopo la malattia dove ha trovato la forza di portare avanti la sua passione?
«Non mi andava giù di smettere. In ospedale ero già convinto che avrei trovato il modo di tornare a fare ciò che mi piaceva. Non mi importava di quello che era successo, era solo una parentesi che si era aperta e andava chiusa. Diventare un atleta paralimpico non era preventivato, il mio obiettivo era tornare in montagna. Sicuramente la fase di corsa per me è stata importante, perché mi ha ridato forza ed equilibrio, così ho imparato a usare le protesi».
"Tornare alla quotidianità la mia vittoria più bella"
Qual è stata la vittoria più bella della sua carriera?
«In realtà il successo più bello è stato tornare a casa e alla quotidianità dopo la malattia. E’ stato la cosa più faticosa e dolorosa rispetto a tutto il resto dove c’è stato il sudore, ma non come gli oltre 6 mesi prima di poter riassaporare la mia vita. Porto nel cuore anche le prime salite che ho fatto dopo quel periodo: provavo, ma non riuscivo. Poi, all’improvviso, sono riuscito a completare la salita al Monte Grondilice (rilievo sulle Alpi Apuane alto 1.809 metri, ndr) che prima della malattia avevo già fatto tantissime volte. Ricordo ancora l’emozione».
Nel 2022 ha scalato l’Everest, che significato ha avuto quella conquista?
«Il mio desiderio di provare a scalare l’Everest era nato dal fatto che volevo dimostrare alle persone che non avrebbero scommesso sul mio ritorno in montagna che si sbagliavano. Mi dicevano che avrei dovuto trovare una passione diversa, io ho sempre risposto “vedremo, mi impegnerò al massimo per tornare”. Ad oggi non è nemmeno la scalata più difficile che ho fatto, ma è la più iconica perché mi ha permesso di lanciare il messaggio che se uno vuole, crede in quello che fa, ama quell’ambiente, si mette in gioco allenandosi e preparandosi, allora può fare cose impensabili. Paradossalmente reputavo l’Everest più impossibile prima del 2015 che dopo. Sono stato anche in Alaska sul Denali con le slitte e lo zaino, ma anche sull’Aconcagua in Argentina e sul Monte Bianco».


"Il concetto di impossibile è relativo"
Quella conquista ha ridefinito il suo personale significato di impossibile?
«Oggi ho delle cose che al momento sono impossibili, ma posso prepararmi e magari tra qualche anno potrò renderle possibili. Penso che il concetto di impossibile sia relativo. Io identifico un obiettivo, mi preparo, ci studio, ci lavoro e poi vedo che le prime due lettere vanno via e diventa così qualcosa di possibile. Nel 2015 erano impossibili tante montagne, ma pian piano lo sono diventate».
Quali sono i rischi maggiori che si affrontano in quota con le protesi?
«Sono gli stessi che si possono trovare in condizioni normali. Ci sono i pericoli oggettivi come le valanghe o le cadute di ghiaccio. Certamente bisogna conoscere bene il proprio corpo e occorre avere fiducia e conoscenze nelle protesi, su come sfruttarle al massimo e controllarle. Ovviamente io faccio più fatica, ma il rimedio è allenarsi di più e stare sempre sul pezzo».
"Si può sempre ripartire"
Quali sono i prossimi obiettivi?
«Sto iniziando a preparare un altro 8mila. Mi piace fare progetti unendo anche la bici e la corsa, le idee sono tante e ogni volta aumentano».
Qual è il messaggio che vuole lanciare con le sue attività in giro per l’Italia?
«La mia storia insegna che si può sempre ripartire. Mi avevano dato per spacciato, poi mi avevano detto che sarei tornato a casa e non mi sarei mai mosso: io ho fatto tutto l’opposto. Serve insistere, provare, riprovare e non preoccuparsi dei fallimenti lungo il percorso, da quelli si può imparare proprio come ho fatto io».
Arianna Sironi