STORIE SOTTO L'OMBRELLONE

Un fegato nuovo in piena emergenza

Il Giornale di Cantù regala ai lettori di Primacomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2021 sulle pagine del nostro settimanale. Una piacevole lettura sotto l'ombrellone.

Un fegato nuovo in piena emergenza
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Vivere con un fegato nuovo, grazie alla generosità di un’altra famiglia e a un intervento davvero molto tempestivo. In un periodo in cui la sanità, soprattutto lombarda, è stata messa in croce, ci sono fortunatamente anche notizie che riconciliano con la vita. Sia perché per qualcuno si è trattato di un vero e proprio ritorno alla vita, sia perché la soluzione a un problema di non poco conto è stata trovata nel giro di qualche mese, nonostante si sia ancora in piena emergenza coronavirus. A raccontarci la sua storia di rinascita, cominciata con una scoperta quasi «casuale», è Francesco Abbracciavento, 50 anni, autista di professione, originario di Martina Franca (in provincia di Taranto), ma da 25 anni a Novedrate con la sua famiglia.

Un fegato nuovo in piena emergenza

Quando ha scoperto di essere malato? Ha avuto qualche sintomo particolare?
«No, fino al 22 agosto del 2019 non ho avuto alcun problema di salute particolare. Mi trovavo in ferie e un’amica di mio fratello, che è caposala del reparto Epatologia, mi ha chiesto se ero in cura per qualche malattia legata al fegato. Io in realtà non facevo alcuna cura, ma lei dal colore degli occhi e delle pelle ha capito che c’era qualcosa che non andava, per cui mi ha consigliato di fare una visita. Cosa che ho fatto subito: il medico che mi ha visitato ha quindi scoperto che avevo un’epatite C in corso, con il fegato che ormai era in cirrosi epatica».

Quale iter sanitario ha seguito successivamente?
«Mi hanno ricoverato per sette giorni a Ostuni, in provincia di Brindisi, facendomi una terapia per alleggerirmi il fisico, perché allora pesavo più di 130 chili. Poi il medico voleva tenermi lì, ma io dovevo rientrare dalle ferie con mia moglie e mio figlio, quindi mi ha consigliato, non appena tornato a casa, di recarmi al Valduce o al Sacco di Milano per iniziare la terapia per eliminare prima di tutto l’epatite C».

Poi cosa è successo?
«Ho cominciato a sentire i sintomi il 17 settembre e sono stato ricoverato immediatamente al Valduce, per 10 giorni. Mi hanno tolto l’infezione che si era creata nell’addome».

Poi è arrivato il giorno dell’intervento, con il trapianto del fegato. In quale ospedale ha subito un intervento così delicato?
«Al Policlinico di Milano».

Ha avuto paura?
«No, ero piuttosto tranquillo perché ormai ero consapevole di essere arrivato a un punto di non ritorno. Mi ero preparato per un anno e quattro mesi per questa operazione e, anzi, pensavo di dover attendere più tempo, invece mi hanno chiamato piuttosto velocemente. Ero a un bivio, ma in realtà potevo prendere una sola strada».

In questo periodo ci sono state diverse polemiche sulla sanità, soprattutto lombarda. Qualcuno sostiene che il Covid ha fatto mettere da parte tutte le altre emergenze e chi ha avuto patologie diverse dal coronavirus è stato curato male. In base alla sua esperienza personale cosa ci può dire?
«Non posso dire male di nessuno. Sia al Valduce che al Policlinico sono stato trattato benissimo, servito e riverito, mi chiamavano persino a casa per sapere come stavo. Ho trovato tutte persone altamente qualificate, professionali e anche molto gentili».

Adesso come si sente?
«Molto bene. Posso dire di essere rinato».

Vuole ringraziare qualcuno?
«Certo. Il mio grazie va a tutto l’ambiente ospedaliero del Valduce, del Policlinico di Milano. E poi la famiglia da cui mi è arrivato l’organo, che non conosco ma che ringrazierò fino a quando sarò vivo».

Isabella Preda

(Giornale di Cantù, sabato 20 febbraio 2021)

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