Da clandestino a marianese STORIE DEL 2017
Il Giornale di Cantù regala ai lettori di Giornaledicomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2017 sulle pagine del nostro settimanale.
(Mariano Comense) Da clandestino a cittadino italiano. Dopo 20 anni il lieto fine per la storia di Altin Tresa. "Per diventare cittadini di un Paese non basta nascervi - ci dice però il papà di Mariano - è necessario vivere in quella nazione e contribuire alla crescita della sua comunità; far valere i propri diritti, ma prendersi a carico anche dei doveri".
Nel 1997 l'arrivo in Italia
Era il 1997 quando Altin, a 17 anni, (oggi ne ha 36), originario di Tirana, raggiungeva le coste dell’Italia a bordo di un gommone. Un’ora e mezza di viaggio della speranza, attraverso il mare Adriatico, di notte, condividendo le paure con altri 25 uomini. Partenza Valona. Direzione Lecce. "Se qualcuno ci avesse buttati in acqua, nessuno se ne sarebbe accorto - racconta - Non nascondo che a 17 anni, ero eccitato di affacciarmi a una nuova vita, ma anche molto spaventato di quello che stavo affrontando da solo".
Ha ottenuto la cittadinanza
La prima ondata di sbarchi di immigrati albanesi in Puglia è già storia. Altin, venerdì della scorsa settimana, ha giurato fedeltà al Paese che lo ha accolto, ottenendo la cittadinanza italiana per sè e per la figlia di un anno e mezzo, la piccola Jasmine. Fra due anni anche la moglie Nertila potrà avanzare la stessa richiesta.
Dalle mani del vicesindaco Fermo Borgonovo Altin ha ricevuto la conferma ufficiale di essere cittadino italiano a tutti gli effetti e soprattutto di fronte alla legge.
"E’ da tempo che mi sento anche italiano - continua - Dal 2002 lavoro come falegname nell’azienda Poliform di Inverigo. Ho avuto la grande fortuna di fare una professione che mi piace, in un posto che considero la mia seconda casa, dove mi trovo benissimo e dove sono potuto crescere anche come persona. Prendere la cittadinanza è stato un passo sentito, pure dovuto. Ho una bambina e volevo garantirle il massimo delle sicurezze. Senza cittadinanza ogni due anni bisogna avviare le procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno. Nel caso in cui si perda il lavoro, è sempre più difficile procedere con questo passaggio. Ora siamo più tranquilli e possiamo continuare la nostra vita qui".
Le prime impressioni
Nel 1991 l'Italia si accorse di essere una terra promessa per migliaia di albanesi. Prima Brindisi e poi Bari vissero gli sbarchi anche di 27mila migranti, tutti insieme. Fuggivano dalla crisi economica e dalla dittatura comunista in Albania. Un esodo biblico, il primo che l’Italia, ieri come oggi impreparata all’accoglienza, si trovò a fronteggiare. Altin arrivò nel nostro Paese con la seconda ondata. "Sbarcai a Lecce e poi, con altri uomini, fuggimmo a piedi fino a Bari per gli uliveti. In seguito un ragazzo con la macchina ci portò alla prima stazione ferroviaria - ricorda oggi - Avevo in tasca i soldi per il biglietto del treno e così raggiunsi Milano".
Il primo impatto fu subito positivo: "Mi sembrava di trovarmi in un’altra realtà. Non avevo mai visto una metropoli. Ne ero del tutto affascinato, allo stesso tempo intimorito: sembrava che tutti guardassero solo me. In Albania c’era poco o nulla. Anche Tirana era una città molto povera. Milano mi sembrava davvero la terra promessa. Capii di avercela fatta, quando mio cognato mi recuperò in stazione Centrale e insieme raggiungemmo mia sorella a Merone, dove vivevano da tempo".
Ora in Italia c'è tutta la famiglia
E da lì la vita di Altin prese tutta un’altra piega. "Per circa un anno e mezzo mi diedi da fare con dei lavori in nero - prosegue il papà - Erano incarichi temporanei, come operaio o cameriere. Sentivo tanto la nostalgia della mia famiglia. Soprattutto i primi tempi furono molto duri. Poi tutto andò migliorando e regolarizzai la mia posizione". Oggi Altin è riuscito a portare in Italia anche i suoi genitori, la mamma Vjollca e il padre Ibrahim, condividono tutti lo stesso appartamento e sono più che mai uniti.
"Sono fortunato"
"Quando stai lontano da casa e dagli affetti capisci quanto la tua famiglia sia importante". Altin sa benissimo cosa provano sulla loro pelle i migranti che adesso tentano di attraversare il Canale di Sicilia. Sa benissimo cosa vuol dire a 17 anni scappare di notte da una terra in cui da un momento all’altro poteva scoppiare una guerriglia civile, senza immediate speranze di crearsi una vita dignitosa. E ha le idee chiare su cosa significhi per lui accoglienza, sia per il Paese che la dà che per le persone che la ricevono. In questi tempi in cui si parla tanto di ius soli, Altin ha la sua personalissima visione di tutta la faccenda: "Non basta far nascere un bambino in Italia per riconoscerlo come italiano. Io penso che prima di diventare cittadini di un Paese debba trascorrere qualche anno. Sia necessario scegliere di fermarsi in quel Paese, non di utilizzarlo come trampolino per poi spostarsi altrove. Per essere veramente italiano devi anche contribuire alla vita della comunità, lavorare, pagare le tasse, restituire quello che ti è stato dato in termini di accoglienza. Come mi sento oggi con tutto questo alle spalle? Sono un un papà e un marito fortunato".
(Giornale di Cantù, 21 ottobre 2017)