STORIE SOTTO L'OMBRELLONE

Dalla Grecia la testimonianza della giovane volontaria impegnata tra i profughi

Il Giornale di Olgiate regala ai lettori di PrimaComo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2020 sulle pagine del nostro settimanale. Una piacevole lettura sotto l'ombrellone.

Dalla Grecia la testimonianza della giovane volontaria impegnata tra i profughi
Pubblicato:
Aggiornato:

Samos è un’isola greca che potresti definire paradisiaca e, invece, ha preso forma e odore di girone dantesco: l’hotspot in cui sono concentrati 8.000 profughi, coacervo di ingiustizie e sofferenze. Chi vorrebbe immergersi lì, proprio a Natale? Annalisa Depredati, 23 anni, studentessa faloppiese, già attiva con un tirocinio nella scuola primaria olgiatese di via San Gerardo, non ha esitato: ha scelto di tornare là dove, la scorsa estate, ha vissuto due mesi rimboccandosi le maniche con la Onlus internazionale «Still I Rise». Al lavoro per «Mazì», scuola per minori fuggiti dai Paesi d’origine cercando un futuro sicuro ma bloccati a Samos tra insidie e privazioni. Annalisa ha scelto da che parte stare. «Tornare a Samos è stato molto più difficile - racconta - Sono trascorsi pochi mesi che, però, sono sembrati anni. Tutto é cambiato in questo breve periodo di tempo. Il centro di ricezione conta attualmente 8.000 persone, delle quali oltre 2.000 sono minori e 400 sono minori non accompagnati».

Dalla Grecia la testimonianza della giovane volontaria impegnata tra i profughi

Volti, mani, desideri rinchiusi in una realtà realmente infernale. «Le piogge si abbattono sull’isola a partire da novembre. Piove spesso e soffia un vento gelido: i ragazzi arrivano a scuola bagnati fradici, ci consegnano i vestiti da lavare e asciugare, ci stringono le mani fredde e violacee. Alcuni arrivano a scuola in ciabatte e pantaloncini corti sfidando la pioggia e il fango del campo perché non hanno altro da indossare. Rispetto a quest’estate ho visto la situazione degenerare in maniera disastrosa». Ogni giorno è un’attesa disillusa. «La settimana prima di Natale le proteste sono esplose in modo incontrollato all’interno del campo. Quella mattina ho sentito degli spari e visto, dalla porta di casa, un’enorme nube di fumo sopra il campo. Senza pensarci due volte mi sono catapultata giù dalla collina per correre a scuola ad accogliere i ragazzi. Parte del campo era stato distrutto e la polizia aveva cominciato a lanciare i gas lacrimogeni nelle tende e nei container. I ragazzi non riuscivano a scappare e alcuni sono arrivati a scuola con grossi problemi respiratori e con gli occhi gonfi per il gas. Ci siamo ritrovati a dover soccorrere i ragazzi, a dar loro coperte e cibo per riscaldarsi e a distribuire generi di prima necessità per strada. A seguito delle proteste, per una settimana al campo non sono stati distribuiti né cibo né acqua e nemmeno vestiti».

Come festeggiare il Natale?

Semplice: spalancando la porta di «Mazì». «Per una settimana lo scenario che si parava davanti agli occhi, per le strade di Samos, era quello di una guerra appena finita: la gente vagava per strada, senza una meta, coi bambini piccoli appresso, chiedendo acqua e cibo. Abbiamo distribuito ogni giorno, dalle 7 alle 21, cibo, acqua e vestiti a chiunque ne avesse bisogno. La medesima settimana abbiamo dovuto chiudere la scuola a causa di un cortocircuito e abbiamo lavorato sodo a fianco degli operai per far sì che potesse riaprire le sue porte per Natale. Finalmente, il giorno della Vigilia abbiamo potuto dare il benvenuto ai piccolini per il pranzo e il giorno di Natale abbiamo ospitato gli studenti più grandi. E’ stato un Natale a dir poco incredibile e sorprendente! Tuttavia la voragine di disperazione sta letteralmente inghiottendo la città di Samos: qui vengono violati i diritti umani fondamentali, le persone sono annullate totalmente e sono trattate come bestie. Non basterebbe nemmeno un libro per descrivere quello che quotidianamente si vive qui, a Samos, e quello che si è costretti a vedere».

I più vulnerabili sono i piccoli

«Abbiamo ragazzi a scuola con la scabbia, che nessuno cura. Abbiamo bambini di 10 anni senza famiglia, che vivono in tende da campeggio. Abbiamo minori non accompagnati che vivono nella giungla (così è chiamata la zona più a rischio dell’hotspot, Ndr) con adulti e senza la protezione di un tutore. In questo periodo mi sto trovando a dover far fronte alla disperazione estrema di ragazzi che tentano il suicidio, di bambini con disturbi da stress post traumatico, di ragazzini che rischiano la vita pur di scappare dall’isola, di bambini che portano sul loro corpo i segni della guerra. “Mazì” assorbe ogni minuto della tua vita a Samos. Quando arrivi qui la percezione è quella di essere rinchiusi in una bolla, lontana dal mondo reale e immersa in un mondo paradossale e orribile».
Resistere ha il sapore di inattesi segnali di speranza. Che riempiono il cuore. «Esistono ancora, sull’isola, luoghi dove bellezza e gentilezza sopravvivono. Uno di questi luoghi si trova sulla strada per il campo e si chiama “Mazì”. Stare a “Mazì” ti mette nella condizione di vedere il bello di ogni giornata, di ogni cosa. Nonostante i bambini e i ragazzi vivano in condizioni criminali, ogni mattina arrivano a scuola affamati di vita e di educazione, consapevoli di poter trascorrere del tempo in un luogo sicuro con persone che si prendono cura di loro e che li amano in maniera incondizionata».

(Giornale di Olgiate, sabato 18 gennaio 2020)

Seguici sui nostri canali