In coma per quasi due mesi senza mai mollare STORIE SOTTO L'OMBRELLONE

Il Giornale di Erba regala ai lettori di Giornaledicomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2019 sulle pagine del nostro settimanale. Una piacevole lettura sotto l'ombrellone.

In coma per quasi due mesi senza mai mollare STORIE SOTTO L'OMBRELLONE
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Di vite Nicola Vicini, di Canzo, ne ha vissute tante. Ha fatto di tutto nella sua esistenza precedente: operaio, impiegato, gestore di rifugio, guida ambientale escursionistica, educatore nei campi del Wwf, cuoco. E’ stato anche impegnato attivamente in politica, tra le fila di Rifondazione comunista.

In coma per quasi due mesi senza mai mollare

Quello che è ora, a 59 anni, è il risultato di una «frattura» lunga quasi sette mesi. Un incubo iniziato all’improvviso nel gennaio del 2010 e che si concluso solo a fine luglio dello stesso anno. Nel mezzo il coma, in rianimazione. Il tutto con un nome difficile e sconosciuto ai più: sindrome di Guillain-Barré. E da lì, la sua seconda vita. Quella attuale. Con cui deve convivere con quanto quella malattia gli ha lasciato. «Non ho avuto una vita facile, ma ho sempre affrontato tutto guardando sempre negli occhi le difficoltà». La sua forza, nel rimettersi in piedi, sono state la figlia Camilla e l’ex moglie Giancarla. E non da meno il suo grande amore per la montagna. «Il 6 gennaio del 2010 ero in valle a ciaspolare. Stavo benissimo. L’8 ho iniziato a stare male. Pensavo a una banale influenza. Ero nello studio del geologo Massimo Riva a Lecco, dove collaboravo. Il tempo di fare ritorno a casa e non riuscivo più nemmeno a togliermi le scarpe. La situazione è peggiorata nel giro di poche ore. Faticavo a reggermi in piedi».

Il ricovero in ospedale il 10 e il tracollo, il 17: «I primi giorni qualcosa riuscivo ancora a fare in autonomia, ma poi sono restato completamente paralizzato. Un pezzo di marmo, con gli occhi spalancati. Sono rimasto in coma fino al 3 marzo». E ricorda tutto Vicini di quel periodo in rianimazione: «Ero lucido dentro di me. Capivo chi entrava, chi usciva. Ricordo molto bene anche chi non è mai venuto a trovarmi. E sentivo tutto. Anche quello che dicevano i medici e comprendevo bene quando qualche altro paziente moriva». Ma più di tutto ricorda gli incubi:  «Erano continui, senza fine. Essere lì è stata una delle esperienze più violente della mia vita. Ero bombardato di medicinali, ma ero anche in una condizione che porta inesorabilmente a essere negativo».

In ben quattro momenti, durante quei lunghi giorni di coma ha avuto la sensazione di essere ormai alla fine: «Ero in uno stato in cui pensavo di non poter più tornare indietro. Eppure in ognuna di quelle quattro volte ho trovato dentro di me la forza di reagire. L’ho fatto anche pensando a tutti quei libri di fantascienza che divoravo da ragazzo. In particolare ho fatto mia una frase contenuta in uno dei romanzi del “Ciclo di dune” di Frank Herbert, “Non devi avere paura. La paura uccide la mente: è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale”. Continuavo a ripetermela». E la mente era l’unica cosa che lo faceva sentire ancora vivo: «Non potevo comunicare. Mi avevano praticato la tracheotomia e avevano provato con un comunicatore a collimazione oculare. Avevo gli occhi spalancati, ma non vedevo a causa dei colliri di antibiotici e delle lacrime artificiali che mi mettevano. Così inventai con la mia ex moglie un modo tutto nostro per “parlare”: lei pronunciava le lettere dell’alfabeto e io facevo impercettibili cenni con la testa».

La riabilitazione e la rinascita

Dopo il coma, dal 3 marzo Vicini è stato trasferito a Villa Beretta per la riabilitazione: «Un percorso lunghissimo: sono entrato allettato, immobile, e sono uscito con il deambulatore il 23 luglio. Nel mezzo una ripresa, a poco a poco, della vita. Ricordo il grande lavoro di Wilma, la fisioterapista della Respiratoria. E ricordo bene che la mia prima parola di questa seconda vita è stata “Camilla”, il nome di mia figlia. Un po’ un percorso inverso di quello che compie un bambino, che per prima cosa pronuncia “mamma”».

La consapevolezza di essere rinato l’ha avuta soltanto quando è stato portato nel giardino della struttura: «Ci ho messo un mese e mezzo dal mio arrivo lì a capire il trascorrere del tempo. Ricordo, però, la mia prima uscita nel giardino: l’aria. L’ossigeno che finalmente potevo respirare. E la luce». A dare forza a Vicini una volta tornato a casa sono state le sue passioni, oltre all’affetto di Camilla e Giancarla: «Sono uscito da Villa Beretta in deambulatore a fine luglio e per la settimana della Biofera, in settembre, ero presente con le stampelle. A ottobre ho partecipato a un corso di guide, compiendo in novembre un’escursione al forte di Oga. Ho cercato di riprendere in mano la mia vita da dove la avevo lasciata. Ero Guida ambientale escursionistica, ho anche lavorato per il Buco del Piombo accompagnando nelle grotte qualcosa come circa 10 mila persone». La passione per la montagna l’ha ereditata dal nonno materno, Giuseppe, ferroviere romagnolo che lo ha iniziato alle camminate fin dalla tenera età: «Ho perso il lavoro nel 1995 e così dopo tre anni in cui “galleggiavo” alla bella e meglio, ho iniziato ad accompagnare in montagna tanto da dare vita insieme ad altri amici con la stessa passione al Gruppo natura, poi diventato alla memoria di Marco Bomman. Nel 1999 sono stato anche gestore del Prim’Alpe con la cooperativa Meta, oltre che responsabile dei campi estivi e invernali del Wwf. Ho pensato di ripartire da quelle passioni, legandole a un altro grande amore: quello per la fotografia». La sua prima macchina fotografica è stata quella del padre, una Leica del 1932: «Me la regalò, quando capì che ero veramente portato. Ricordo che per i Giovani comunisti facevo i servizi d’ordine ai concerti. Ma ero mingherlino: era una scusa per documentare gli eventi. E ho immortalato così grandi nomi come Guccini, i Nomadi, Bertoli e anche Fabrizio De Andrè in un concerto con la Pfm a Milano. Tutti musicisti che mi hanno “aiutato” a tornare a vivere grazie a un cd che la mia ex moglie e mia figlia mi avevano preparato durante il ricovero in Valduce».

La nuova vita

Ora Nicola Vicini, che ha ripreso a collaborare con lo studio Riva di Lecco per tre pomeriggi la settimana, continua a essere una Guida escursionistica ambientale: «Seguo regolarmente corsi Aigae e mi sono inventato “A passo lento” e “Fotografia in cammino”, accompagnando molto lentamente - sempre sostenuto dalle mie racchette - le persone in montagna. Escursioni per chi ha problemi motori o ha voglia di andare adagio approfittando per scattare qualche immagine. Ho in tasca anche un diploma da Facilitatore multimediatecario e chissà che non possa aiutare anche questa cosa. Collaboro con il Parco Spina verde e tengo corsi di fotografia».

(Giornale di Erba, sabato 26 gennaio 2019)

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