La Brexit? Senza accordi, costerà 76 milioni di euro all’agroalimentare lariano I DATI
Le due province di Lecco e Como subiranno, ognuna, danni per 38 milioni di euro: l’export del comprensorio verso il Regno Unito è particolarmente strategico.
Vince Lecco, di misura. Ma è un triste primato, perché le due province di Como e Lecco pagheranno a caro prezzo la Brexit, ovvero l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. A meno di accordi concreti e risolutivi, il ‘conto’ ammonta ad oltre 38 milioni per il Lecchese. E a poco meno di 38 per il Comasco. Questo il bilancio delle perdite in uno scenario, purtroppo, non troppo lontano nel tempo. I dati emergono da un’analisi della Coldiretti Lombardia su dati Istat in merito agli effetti della peggiore ipotesi di Brexit.
La Brexit costa caro anche ai lecchesi
Tra i prodotti lombardi più importati dal Regno Unito – precisa la Coldiretti regionale – ci sono prodotti da forno, carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne, prodotti delle industrie lattiero-casearie, vino. Ma anche prodotti della lavorazione di granaglie e prodotti amidacei, ortofrutta.
A livello territoriale – continua la Coldiretti – i comprensori che esportano di più sono Varese con 89 milioni di euro di export agroalimentare in UK, Milano con 87 milioni di euro, Como-Lecco con 76 milioni (oltre 38 Lecco, quasi 38 Como), Mantova con più di 59 milioni di euro. qUINDI Bergamo e Brescia con oltre 48 milioni di euro ognuna. Cremona con oltre 41 milioni di euro. Lodi con più di 36 milioni di euro. Pavia con 29 milioni di euro, Monza Brianza con 6 milioni di euro e infine Sondrio con quasi 4 milioni di euro.
Fortunato Trezzi
“L’agroalimentare made in Como-Lecco piace Oltremanica – rimarca il presidente di Coldiretti Como-Lecco Fortunato Trezzi – . Una Brexit senza accordosarà un’eventualità drammatica sia per i sudditi della Regina, sia per tutte quelle imprese particolarmente attive su un mercato molto importante, che mette al centro il territorio lariano”.
I dati a livello nazionale
A livello italiano, invece, con lo scenario apocalittico andrebbero in fumo 3,3 miliardi di esportazioni agroalimentar. La voce più importante della tavola nelle esportazioni tricolori è rappresentata dal vino, con un valore di 810 milioni di euro di esportazioni nel 2017; al secondo posto tra i prodotti agroalimentari italiani più venduti c’è la pasta, ma rilevante è anche il ruolo dell’ortofrutta, dei formaggi e dell’olio d’oliva.
Bocciato il Made in Italy
E oltre allo ‘scenario apocalittico’ a preoccupare – conclude il presidente Trezzi – “è anche soprattutto il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna una legislazione sfavorevole all’esportazioni agroalimentari italiane come l’etichetta nutrizionale a semaforo sugli alimenti che si sta diffondendo in gran parte dei supermercati inglesi e che boccia ingiustamente quasi l’85% del Made in Italy a denominazione di origine (Dop)”.
L’etichetta semaforo indica con i bollini rosso, giallo o verde il contenuto di nutrienti critici per la salute come grassi, sali e zuccheri, ma non basandosi sulle quantità effettivamente consumate, bensì solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze, porta a conclusioni fuorvianti arrivando a promuovere cibi spazzatura come le bevande gassate dalla ricetta ignota e a bocciare il Parmigiano Reggiano o il Prosciutto di Parma, ma anche un elisir di lunga vita come l’olio extravergine di oliva le cui esportazioni sono calate in quantità del 13,5% nel 2017.