nell'erbese

Scoperta famiglia di spacciatori: dopo il blitz della Polizia cercano di scappare dal tetto

La complessa attività d’indagine era cominciata nel mese di febbraio.

Scoperta famiglia di spacciatori: dopo il blitz della Polizia cercano di scappare dal tetto
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Scoperta una famiglia di spacciatori che agiva ad Erba e nei Comuni limitrofi. Ieri, in provincia di Milano, l'arresto dell'ultimo dei fratelli in fuga.

Scoperta famiglia di spacciatori

La complessa attività d’indagine era cominciata nel mese di febbraio quando, partendo da un’attività info-investigativa della Sezione Antidroga della Squadra Mobile, i poliziotti avevano sequestrato piccole dosi di stupefacente ad alcuni acquirenti, tutti nel territorio di Erba e tutti collegati a un unico gruppo di spacciatori. In poco tempo, gli agenti si sono messi sulle tracce di questo sodalizio criminoso e, con l’ausilio di attività tecniche di intercettazione telefonica e ambientale, sono riusciti a delineare ruoli, modus operandi e fonti di prova a carico degli indagati. Il gruppo si componeva di quattro soggetti principali. I tre fratelli M. B. (cl.1988), M. A. (cl. 1992), M. E. (cl.1994), più un quarto soggetto, E. M. (cl. 2002). Tutti marocchini e irregolari sul territorio nazionale, tutti (tranne M. B., il più grande, per la prima volta in Italia) con precedenti di polizia, avevano messo in piedi una spericolata attività di spaccio a Erba e dintorni. Avevano a disposizione telefoni intestati a prestanome così come macchine a noleggio o di proprietà di terze persone. Tutto il giorno, e fino a tarda sera, organizzati in turni e quasi sempre in coppia, giravano in lungo e in largo la zona dell’erbese, incontrando gli acquirenti per strada, riuscendo a compiere decine di cessioni al giorno. Sempre molti accorti all’eventuale presenza di Forze di polizia intorno a loro e disposti alla fuga a ogni costo, nascondevano in un bosco la droga invenduta a fine giornata.

La divisione dei compiti

I ruoli erano ben definiti: il fratello più grande, chiamato sempre ossequiosamente dai sodali con il soprannome di “figlio del pellegrino”, si occupava della gestione dello stupefacente, del taglio e del confezionamento; B. A. e B. E., invece, acquistavano e vendevano la cocaina, in coppia o da soli, oppure aiutati dal giovane E. M.. Per corroborare i riscontri già effettuati nelle prime fasi delle indagini, i poliziotti hanno seguito le mosse degli spacciatori, oltre che con l’attività di intercettazione anche con servizi specifici di osservazione e sequestri. Gli affari andavano talmente bene che B. A., una mattina di marzo, mentre era da solo sull’auto, dopo l’ennesima vendita, affermava in arabo, quasi incredulo, fra sé e sé: «si guadagna bene con la bianca!».

Il tentativo di fuga dal tetto

Al termine dell’indagine, durata circa due mesi, proprio B. A., la settimana scorsa, esprimeva il desiderio di tornare in Marocco in pochi giorni.  A quel punto, su autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria, che coordina le indagini, i poliziotti della Squadra Mobile di Como organizzavano nell’arco di pochissime ore i fermi di indiziati di delitto, nei confronti dei quattro soggetti, per impedire la partenza dello stesso. Così, all’alba della mattina di venerdì scorso, gli agenti si recavano nelle due case dove avevano individuato essere le dimore degli indagati. Una a Canzo dove è stato subito trovato e fermato B. E. e una a Proserpio, dove invece si trovavano gli altri due fratelli e E. M.. Questa seconda abitazione era usata come la base operativa del gruppo. I poliziotti erano andati in forze e avevano circondato la casa. Mentre, però, cercavano di aprire la porta di ferro chiusa a chiave, i tre indagati scappavano sul tetto da un buco nel controsoffitto. Una via di fuga evidentemente preparata proprio in caso di blitz delle Forze dell’ordine.

In pochi attimi i poliziotti sono riusciti a forzare la porta d’ingresso e tramite la stessa apertura sul tetto arrivavano a vedere i tre indagati fuggire, scalzi, da un tetto a un altro. Proprio in quel momento, uno di loro emetteva un urlo di dolore come se si fosse ferito nella fuga. Nel cercare di impedire la fuga un operatore della Squadra Mobile cadeva dal tetto dell’abitazione e si procurava contusioni multiple ed una frattura vertebrale. Immediatamente, gli agenti si mettevano alla caccia dei fuggitivi che, però, erano già entrati nel fitto bosco di Proserpio, vicino alle abitazioni del piccolo paese. Le ricerche, incessanti, anche con l’ausilio dell’unità cinofila antidroga della Polizia di Stato, proveniente dalla Questura di Milano, portavano poco dopo all’individuazione di uno dei fuggitivi, B. M., ferito al piede da un profondo taglio causato dalla fuga precipitosa a piedi nudi.

Sequestrati 20mila euro in contanti

Nelle due case i poliziotti sequestravano circa 20mila euro in contanti e i documenti dei fuggitivi. Poi, martedì 17 maggio 2022, il G.I.P. del Tribunale ordinario di Como emetteva le misure cautelari in carcere a carico dei due fuggitivi, E. M. e B. A.. Subito gli agenti dell’Antidroga si mettevano alla ricerca degli indagati e intercettavano E. M., unitamente a un altro marocchino irregolare, a bordo di un auto, a Erba, con addosso circa 50 grammi di cocaina divisa in dosi e 1000 euro in contanti. Mentre al primo, quindi, veniva notificata l’esecuzione della misura cautelare, il secondo veniva tratto in arresto in stato di flagranza. Infine, ieri pomeriggio, mancava l’ultimo componente del sodalizio criminoso. B. M.

Ora sono in carcere

La Sezione Antidroga, con un ultimo sforzo info-investigativo, riusciva a scoprire quale fosse la nuova macchina a lui in uso e si metteva alla ricerca dell’indagato. Nelle prime ore del pomeriggio veniva individuata l’auto ferma a Solaro (MI), davanti al Parco delle Groane e, pochi minuti dopo, appariva M. A. dalla fitta boscaglia. Appena entrato in macchina, non aveva il tempo neanche di metterla in moto perché intervenivano sei poliziotti su di lui. Il soggetto ha tentato in tutti modi un’ultima fuga ma, nonostante il lieve ferimento di due agenti, lo è stato prontamente messo in sicurezza. Al termine degli adempimenti di rito l’indagato, a cui veniva notificata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, veniva portato alla casa Circondariale del Bassone), fatto salvo il principio della presunzione d’innocenza degli indagati che, nel caso degli altri, fermati o arrestati nei giorni precedenti, già posti davanti al giudice, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e, pertanto, sono tuttora in carcere in regime di custodia cautelare.

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