"Un trapianto mi ha salvato la vita" STORIE SOTTO L'OMBRELLONE

Il Giornale di Cantù regala ai lettori di Giornaledicomo.it le più belle storie raccontate nel corso del 2019 sulle pagine del nostro settimanale. Una piacevole lettura sotto l'ombrellone.

"Un trapianto mi ha salvato la vita" STORIE SOTTO L'OMBRELLONE
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Una storia di vita che ha dell’incredibile, ancora più considerando il fatto che la protagonista è una giovane donna di 25 anni. Anna Maria Beretta, classe ‘94, ha affrontato un "mostro" che non ha niente a che vedere con gli antagonisti delle favole per bambini, un nemico che è rimasto "senza nome" fino al 2014, smascherato a suon di ricerche da un medico israeliano: Ada2 Deficency, una malattia genetica rara di cui è affetta anche la sorella gemella Veronica, con cui Anna Maria condivide l’intero patrimonio genetico.

"Un trapianto mi ha salvato la vita"

Dopo anni di lotta e di continui ricoveri in ospedale, iniziati alla tenera età di due anni e mezzo con la prima ischemia cerebrale, Anna Maria e la gemella solo all’età di 23 anni hanno potuto dare un nome al nemico che provocava loro continue sofferenze, ostacolando la produzione di globuli bianchi da parte del midollo osseo. E se da un lato è vero che per sconfiggere un nemico bisogna prima di tutto conoscerlo, dall’altro, se l’avversario è una malattia genetica rara senza cura, l’unico mezzo per sconfiggerlo è sperare nei progressi della ricerca scientifica. Il tempo per sperare nella scoperta di nuove terapie, però, Anna Maria non lo ha avuto: dal 2015 la sua malattia genetica rara ha avuto un declino a picco, portandola ad avere zero globuli bianchi nel sangue, ovvero nessuna difesa immunitaria. L’unica via di salvezza per la giovane guerriera arosiana era un trapianto allogenico di midollo osseo: la cura alla sua malattia non era un farmaco, ma una persona.

"Abbiamo trovato la tua donatrice, siete compatibili 9/10", questa è la frase che le ha cambiato la vita, insieme alla persona che ha deciso di regalarle una parte di sè. Dopo più di un anno dal trapianto, avvenuto il 15 febbraio 2018, Anna Maria sta bene e ha voluto raccontarci, in un’intervista, la sua straordinaria esperienza di vita.

Ti va di ripercorrere con noi i momenti salienti della tua «rara» storia di vita? Quali sono stati i giorni più belli e più brutti della tua esperienza finora?
"Ricordo all’età di 2 anni e mezzo il primo viaggio in ambulanza con papà e subito dopo la corsa lungo il corridoio dell’ospedale con medici e infermieri, ricordo i pianti e le urla di mamma e papà che correvano dietro il mio lettino. Questo segna l’inizio di una lotta durata circa 25 anni. Il momento peggiore della mia vita è stato quando ho urlato in lacrime di fronte al professor Aiuti e alla dottoressa Maria Pia Cicalese: “Basta, io mollo”. Perché la situazione era molto compromessa e ne ero consapevole e preferivo lasciarmi andare piuttosto che continuare a lottare. Poi però la dottoressa Cicalese mi ha detto che probabilmente ne sarebbe valsa la pena e quindi ho deciso di continuare a lottare. Un momento bello, invece, è stato proprio il giorno del trapianto, è stato molto emozionante per me e per la mia famiglia; un’emozione del genere è indescrivibile a parole".
Il 15 febbraio 2018, il giorno del trapianto, cosa rappresenta per te ora?
"Quest’anno, al mio primo complemidollo, i miei genitori mi hanno regalato due rose con un bigliettino di auguri, dicendo che sono una ragazza molto coraggiosa. Io amo i fiori. Ho scritto una letterina alla mia donatrice in cui le dicevo che stavo bene. Quel giorno per me rappresenta la rinascita, perché ho capito che non siamo fatti per nascere, ma siamo fatti per rinascere, ogni giorno. Siamo fatti anche per donare la vita a qualcun altro, per dare alla luce qualcun altro. E la mia donatrice ha fatto così con me, mi ha donato un’altra vita".

Cosa diresti alla donatrice che ti ha salvato la vita se avessi la possibilità di conoscerla?
"Le racconterei tutto della mia vita, tutto nei minimi dettagli, non le parlerei chiaramente solo della malattia, ma anche del mio quotidiano e le direi che era una vita che la aspettavo. E che ho pensato a lei quando ho firmato per essere iscritta in lista trapianti e me lo sentivo in qualche modo che lei esisteva per me e che ci ho creduto fino in fondo, ho creduto sin da subito in noi e nella nostra forza, è stato un lavoro di squadra tra due persone sconosciute. Io le voglio bene e la penso tutti i giorni".

Come pensi ti abbia cambiato questa tua importante esperienza di vita?
"Sembrerà assurdo, ma è grazie alla mia malattia che sono la persona che sono e non cambierei assolutamente nulla di quello che è stato. Posso dire che nella mia vita ho sempre lottato da sola ma a un certo punto non è più bastata la voglia di vivere ed è stato fondamentale l’aiuto di questa giovane donna e così ho capito quali sono i principi e i valori più veri, e ho imparato una cosa fondamentale: chiedere aiuto quando ne ho bisogno, di qualsiasi cosa si tratti".

Qual è la ricetta segreta che ti ha permesso di superare un ostacolo così forte?
"Sinceramente non lo so. Penso che i miei ingredienti segreti sono stati la famiglia e la vicinanza di amici e conoscenti, ho sempre ricevuto tanto affetto dalle persone che mi circondavano".

Com’è nata l’idea di creare l’associazione Dada2?
"L’idea è partita dal desiderio di continuare a lottare e stare a fianco di coloro che non sono ancora guariti e stanno lottando come ho fatto io. Voglio aiutare in prima persona i medici e i ricercatori Telethon, tramite l’associazione (che potete trovare digitando semplicemente su google dada2.it, ndr), con le donazioni e con il ricavato del libro che sto scrivendo".

Qual è il desiderio più grande che hai in questo momento?
"Desidero che i nostri medici e ricercatori trovino la soluzione adatta a tutti: non voglio che nessuno passi quello che ho passato io".

Jennifer Caspani

(Giornale di Cantù, sabato 6 luglio 2019)

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