Un favo colante di miele e di api sotto la lapide di padre Giuseppe Ambrosoli a Kalongo
E' stato ritrovato al momento dell'esumazione della salma per la beatificazione
Con la esumazione di padre Giuseppe Ambrosoli, sono affiorati, fra la lapide e la bara, dei favi di cera, colmi di miele e contornati da api vive e attive. A pochi giorni dall'anniversario della morte del missionario di Ronago, datata 27 marzo 1987, la Fondazione che porta il suo nome ricorda questo particolare episodio.
Un favo colante di miele e di api sotto la lapide di padre Giuseppe Ambrosoli a Kalongo
"Non ci si può limitare allo stupore dettato dalla presenza del piccolo nido, infatti, non è frequente trovare api che per loro bizzarria etologica vadano a colonizzare loculi e raramente tombe nel terreno. Le api cercano un luogo protetto dove potere costruire il loro nido. Il resto sul giudizio di stranezza del posto scelto dalle api, lo ometto - ha commentato Mario Colombo, docente di entomologia apidologia presso l’Università degli Studi di Milano - Nella fattispecie la cosa che stupisce è che la salma di padre Ambrosoli da Lira, morto nel 1987 a Kalongo, traslato nel 1994, da allora, non è mai stata colonizzata da alcuna famiglia di api. Ne sarebbe stata prova la vecchiezza dei favi, eventualmente dopo tanto tempo, addirittura abbandonati dalla colonia. Stupefacente è il ritrovamento, con l’apertura della tomba, di una colonia di api, di insediamento recente. Fatto provato dalla presenza di api attive, da favi appena costruiti e colmi di fresco miele".
La tomba è stata infatti scoperchiata per l’esumazione in previsione della beatificazione. "La scienza non deve spingersi oltre certi limiti, non deve, non ne ha titolo e non può farlo quando i segnali lanciati dalla Provvidenza, sono univoci, certi e di genesi sacra. Le api filtrate da un pertugio impossibile, hanno prodotto e colmato di miele delle cellette, esattamente a distanza di 35 anni dalla morte e precisamente nei giorni in cui padre Giuseppe dopo avere lasciato la vita terrena, compiva un ultimo volo, per tornare nel suo paese d’origine - ha aggiunto Colombo - Questa volta non da solo, ma accompagnato dal vibrare delle ali delle api, col loro nettare per rendere dolce questa partenza e con questo piccolo miracolo. La trina congiunzione del Sacerdote, del nome Ambrosoli e con le api, simbolo di parsimonia e di operosità. Quella medesima operosità che Padre Giuseppe ha prodigato in Uganda, tanto lontano dai suoi natali. Api a fianco al suo corpo… entrambi segno tangibile di lavoro per la comunità, senza risparmio di energie e con guida il cuore".
“E’ stato un momento molto forte quando nel novembre 2020 ho assistito a Kalongo all’apertura della tomba di padre Ambrosoli per l’esumazione in vista della beatificazione, ma ancora più emozionante quando sotto la lapide di cemento che la ricopriva è stato trovato un favo colante di miele e di api” ricorda Giovanna Ambrosoli, presidente di Fondazione Ambrosoli.
“Proprio in questi giorni, a ridosso dell’anniversario della morte di padre Ambrosoli, mi è arrivata la relazione del prof. Colombo dell’Università degli Studi di Milano che ha studiato quel favo che avevo riportato dall’Uganda e desidero condividerla alla vigilia di nuova missione a Kalongo - ha aggiunto Ambrosoli - E’ difficile in situazioni come queste definire il confine con la scienza, leggo questo ritrovamento ancora una volta come un segno tangibile di quell’operosità infinita e amorevole che padre Giuseppe ci ha lasciato e che ci ricorda di guardare al prossimo, di rimanere a fianco dei più bisognosi e di costruire un futuro migliore per le nuove generazioni".
Padre Ambrosoli e la sua Fondazione
Padre Giuseppe Ambrosoli è una delle figure di missionario che hanno lasciato il segno: il suo spirito imprenditoriale e la sua sana cultura del fare sono sempre andati di pari passo con la fede e la carità, mostrando come il coraggio, la cura e la gratuità siano capaci di riempire la vita di significato per il prossimo. La sua energia e operosità si vedono oggi ogni giorno nelle corsie della pediatria, maternità e chirurgia e negli ambulatori grazie all’instancabile lavoro di medici e volontari e delle future ostetriche che si prendono cura di quel fiume di gente paziente e fiduciosa che, in coda, ogni giorno attende per essere visitato.
Da 25 anni, la Fondazione è a fianco dell’ospedale e della scuola di ostetricia per alleviare le sofferenze e donare futuro a chi vive in uno dei luoghi più poveri e ignoti dell’Uganda, grazie al contributo di quanti credono con noi che la sofferenza abbia pari dignità ovunque e che per questo sia importante prendersene cura.
Farmaci e vaccini, latte e cibo terapeutico, materiale sanitario, strumenti chirurgici, apparecchiature salvavita non possono mancare, a questi si aggiungono gli stipendi del personale ospedaliero (circa 250 persone), il carburante per l’ambulanza, le batterie del generatore per quando l’elettricità viene a mancare.