il racconto

Croce Azzurra di Porlezza, il dolore dei volontari: "La nostra una piccola comunità, conosciamo chi ci chiama per Covid-19"

La vice-responsabile Barbara De Matteo racconta: "Non possono avere conforto dagli oggetti personali perché gli ospedali non vogliono neppure il cambio per il ricovero".

Croce Azzurra di Porlezza, il dolore dei volontari: "La nostra una piccola comunità, conosciamo chi ci chiama per Covid-19"
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Il contagio da Covid-19 è riuscito purtroppo ad arrivare anche in luoghi appartati, che credevamo essere isole felici. Come Porlezza e i Comuni limitrofi tra la Val d'Intelvi e il Ceresio. Oasi meravigliose che ormai da diversi anni vivono di turismo ma che alla fine sono piccoli paesi in cui ci si conosce tutti.

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Eppure nell'ultimo mese anche questi luoghi sono stati sconvolti dall'infezione da Covid-19. Ad esserne testimoni sono gli operatori della Croce Azzurra di Porlezza, del tutto inaspettatamente in prima linea in questa battaglia. Una piccola quanto fondamentale sezione per il territorio afferente: sono 48 volontari e 4 dipendenti a disposizione per l'emergenza-urgenza cui si aggiungono circa 30 operatori che invece si dedicano ai servizi semplici (trasporto disabili, anziani), al momento completamente azzerati.

Dal 1° marzo ai primi giorni di aprile sono state 65 le chiamate al 118 a cui hanno risposto gli operatori della Croce Azzurra di Porlezza, 52 delle quali per Covid-19 o casi sospetti del virus. All'emergenza-urgenza si aggiungono 23 servizi secondari tra dimissioni e trasferimenti da un ospedale all'altro sempre di casi di coronavirus.

Barbara De Matteo

"Il mese di marzo è stato davvero molto pesante - ci racconta Barbara De Matteo, 49 anni, vice-responsabile della sezione e volontaria da 7 anni - Abbiamo fatto anche dieci uscite al giorno che per il nostro territorio sono tantissime anche quando è pieno di turisti. Nell'ultima decina di giorni però la pressione si è allentata".

A fronte di meno chiamate del 118, sono aumentate le richieste di servizi di trasferimenti di pazienti Covid da un ospedale all'altro oppure nelle strutture di riabilitazione o ancora per portare i casi sospetti a effettuare il tampone.

Vita da volontario del 118 al tempo del coronavirus

"La prima volta che ho dovuto mettere la tuta di protezione ho avuto paura, non posso negarlo - ci confida Barbara - però all'inizio dell'emergenza il nostro responsabile di sezione ci ha preparati e ci ha informato su tutte le precauzioni da prendere. Certamente è più difficile lavorare perché ti porti solo lo stretto necessario al turno e se si va a casa di un caso di Covid-19 ci organizziamo in modo tale che sia un solo volontario ad approcciarlo, per precauzione". 

La Croce Azzurra opera su un territorio che va dalla dogana di Oria con la Svizzera a Porlezza, passando per la Val Cavargna, Grandola e parte della Val d'Intelvi. Un territorio molto vasto, senza dubbio, ma in cui negli anni i volontari hanno imparato a conoscere quasi tutti. E al tempo del Coronavirus questo aspetto può essere un'arma a doppio taglio perché quando arriva la chiamata per Covid-19 spesso i volontari sanno chi troveranno in quella casa.

"Ci conosciamo tutti e l'impatto emotivo per noi è forte - racconta Barbara - Conosci chi sta male e sta soffrendo in quella casa. E' durissima soprattutto quando porti via un anziano che sai perfettamente che non ce la farà. I loro occhi sono pieni di paura, come quelli dei parenti che non possono venire con noi e non sanno se li rivedranno. Non abbiamo la possibilità di dare loro conforto con qualche oggetto personale perché gli ospedali non vogliono neppure il cambio per il ricovero, al massimo il cellulare per tenere i contatti".

La volontaria della Croce Azzurra di Porlezza ci spiega che all'inizio dell'emergenza si trattava per la maggior parte di anziani ma ora qualcosa è cambiato. "Negli ultimi giorni abbiamo trattato soprattutto persone con meno di 50 anni e in ognuno la malattia si manifesta in modo diverso: la mancanza di respiro, i sintomi influenzali, la febbre - spiega Barbara - Però davvero serve che la gente rimanga a casa, vediamo ancora troppe persone uscire e sul nostro territorio i controlli dovrebbero essere più rigidi".

Stephanie Barone

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