L’arte della cucina da Mariano al Marocco: "La mia vita da chef"
"É fondamentale mettersi in gioco per continuare a evolversi e quindi, senza pensarci troppo, mi sono trasferito"
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«Mi sarebbe piaciuto stare per sempre a Perticato (frazione di Mariano Comense), nella mia comfort zone, ma così non si cresce». Riccardo Barni, ventisettenne originario di Mariano Comense, dal 2021 vive in Marocco per lavoro.
Un giovane chef alla scoperta del mondo
«Uno spostamento di questo tipo non era veramente nei miei piani - spiega Riccardo - io da tempo lavoro come chef per la famiglia Alajmo, che ha diversi locali sparsi in giro per il mondo, ma non avevo mai pensato di cogliere un’opportunità all’estero. Durante il periodo del Covid, invece, ho iniziato a coltivare il desiderio di allargare gli orizzonti, anche perché vedevo una situazione critica nel nostro Paese. Così il gruppo Alajmo mi ha fatto la proposta di andare in una struttura di lusso a Marrakech e ho accettato. É fondamentale mettersi in gioco per continuare a evolversi e quindi, senza pensarci troppo, mi sono trasferito con Vanessa, che, tra l’altro, nel 2024 è diventata mia moglie».
"In Italia ho già fatto molte esperienze, anche negli stellati"
In Marocco Riccardo ha l’opportunità di aggiungere nuovi capitoli al suo percorso professionale: «Sono giovane, ma in Italia ho già fatto diverse esperienze molto formative, anche in ristoranti stellati. Per esempio ho lavorato a Milano, in Alta Badia e a Forte dei Marmi. Ho fatto anche un breve passaggio in Francia, vicino a Lione. Ora, invece, a Marrakech sono chef e gestisco la cucina del ristorante “Sesamo”, all’interno del prestigioso hotel “Royal Mansour”. Nella mia brigata ci sono ben 16 persone, che divido tra antipasti, primi, secondi e dolci. Noi curiamo anche tutta la parte della panificazione. Il lavoro è sicuramente intenso, ma dà tante soddisfazioni. Vengo aiutato anche da due sous chef italiani, che si occupano di gestire la brigata. Il servizio avviene la sera, mentre di giorno rimango a disposizione per seguire la creazione e la realizzazione dei nuovi piatti. Inoltre, devo occuparmi anche della gestione delle risorse umane. In una realtà come la nostra, stabilire delle procedure è fondamentale. Una parte piacevole della mia attività è dialogare con i ragazzi della cucina. Mi piace spiegare bene tutti i processi necessari per valorizzare, nel migliore dei modi, le materie prime. Ho anche imparato l’arabo per farmi capire meglio e, nel contempo, alcuni collaboratori utilizzano termini italiani. In generale, è bello formare altri giovani».
Le sfide culturali e professionali in Marocco
Ormai la professione dello chef sta acquisendo sempre più sfumature, anche fuori dallo spazio fisico della cucina: «Nel nostro lavoro si sta cercando di alzare sempre più l’asticella, quindi mi attivo anche per la ricerca dei prodotti di qualità. Sono veramente fiero di poter dedicare ore a questi particolari, che in realtà fanno la differenza. Abbiamo proprio creato una filiera di produttori locali, anche bio, che lavorano per noi. In Marocco bisogna ricorrere a queste soluzioni, perché alcuni prodotti sono veramente rarissimi. Per fare un esempio, se volessi la cima di rapa, senza i nostri produttori, sarebbe un problema. In cucina partire da una materia prima eccezionale è fondamentale».
"Qui tutto dipende dal destino"
Per quanto riguarda le maggiori differenze tra l’Italia e il Marocco, Riccardo evidenzia alcuni aspetti: «Partiamo dal presupposto che appena sono arrivato immaginavo fosse necessario, da parte mia, un netto cambio di mentalità. Il Marocco, a livello culturale, è veramente enormemente distante dall’Italia. Anche l’orologio biologico è completamente diverso, i ritmi e le priorità seguono altre logiche. Qui dicono sempre «Inshallah», ovvero «Se Dio vuole», e quest’espressione spiega bene come ragionano. Nel fare praticamente qualsiasi cosa, non esistono appuntamenti fissi. Tutto dipende dal destino e dalle circostanze. Io provo a fissare alcuni incontri, ma poi si verificano con minimo 1 ora di ritardo. Inoltre, il riposo è veramente quasi sacro, se si stacca, basta, non si può fare niente. Però, nel mio piccolo, sto anche provando a portare la mia mentalità europea, almeno all’interno della mia brigata, che è composta da tanti giovani ragazzi marocchini. In particolare voglio far passare il concetto che in cucina si lavora per passione, e non, principalmente, per soldi. L’aspetto positivo dei lavoratori marocchini, forse, è che hanno più spirito di adattamento nel fare differenti mestieri. Un’altra differenza molto evidente, ovviamente, è il clima, dato che qui fa veramente caldo. In estate l’anno scorso la massima è stata 57 gradi: quasi impossibile vivere e lavorare con queste temperature, infatti il ristorante ad agosto chiude. Ogni tanto, sinceramente, mi manca la pioggia della Brianza. Nebbia e freddo, per tanto tempo, hanno fatto parte della mia vita».
"Voglio portare la cultura del bello e del buono"
Lo stacco tra Europa e Africa, per quanto Marrakech sia una realtà turistica, inevitabilmente emerge nella qualità della vita: «Qui c’è molta meno cura, anche per gli spazi. Non è solo una questione di soldi. Manca proprio quel sentire la necessità di presentarsi bene. Ci sono tante case che all’interno sono in ordine, ma poi non hanno l’intonaco esterno. Noto tutto ciò anche nel mio campo, se c’è un prodotto che è commestibile ma si presenta in pessime condizioni, per loro va bene. Pure per quanto riguarda il fisico, si curano poco. Si vedono tante persone senza denti. Io, invece, voglio portare la cultura del bello, oltre che del buono. Le due cose devono andare di pari passo, nella vita e nella cucina».
Il legame con l’Italia e il futuro
Per il futuro, però, Riccardo ha le idee chiare: «Mi sta piacendo molto quest’esperienza, ma vorrei tornare a casa. Non so ancora quando. Sin dall’inizio sono stato chiaro: rimango qui finché mi sveglio la mattina e sento di poter dare il 100% in un lavoro che rispetto molto e quindi voglio fare al massimo delle mie possibilità. Chiaramente non abbandonerò la mia brigata dall’oggi al domani, ma nel mio futuro c’è l’Italia. Il destino dirà quale sarà il momento giusto». Inoltre, Riccardo porta Mariano Comense ancora nel cuore: «Sono molto legato al mio paese, appena posso rientro sempre, in particolare a Perticato, dove sono cresciuto. Mi basta rivedere delle foto per sentire la nostalgia. Girare il mondo è affascinante, ma non potrà mai sostituire il calore della propria casa. Sia io che mia moglie abbiamo ancora i nonni, quindi riteniamo speciale poter vivere splendidi momenti con loro. Quando rivedo la mia famiglia sento proprio di ricaricarmi, così da affrontare meglio le intense giornate di lavoro in Marocco. Nel rientrare, sono anche favorito dal fatto che ci sono ottimi collegamenti nei trasporti e quindi con 3 ore di volo riesco a tornare a casa».
"Fondamentale uscire dal guscio"
Infine, nel consigliare l’estero ai giovani italiani che stanno valutando questa possibilità, Riccardo afferma: «Dal mio punto di vista è fondamentale fare esperienze in altri Stati e uscire dal proprio guscio, non necessariamente in Africa come è capitato a me. A prescindere dal lavoro che si svolge, bisogna sviluppare la capacità di dialogare con le altre culture. In Europa ci sono tante splendide opportunità per maturare e imparare a camminare con le proprie gambe».