Cervelli in fuga dal Canturino e Marianese

"Mi sono trasferito in Thailandia per fare della Muay Thai un lavoro"

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"Mi sono trasferito in Thailandia per fare della Muay Thai un lavoro"
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Samuel Fazzini, nato a Cantù e cresciuto tra il canturino e il marianese, a soli 19 anni, ha già fatto una scelta di vita che pochi suoi coetanei avrebbero il coraggio di intraprendere. Ha lasciato casa, amici e abitudini per trasferirsi in Thailandia, patria della Muay Thai, dedicandosi completamente alla sua grande passione per questa disciplina.

In Thailandia per la Muay Thai: la storia di Samuel

La Muay Thai è un’arte marziale a contatto pieno. Questa è nota come «l’arte delle otto armi» perché consente ai combattenti di usare mani, piedi, gomiti e ginocchia (pertanto otto parti del corpo) per colpire l’avversario. Chi pratica tale arte necessita inevitabilmente di una grande preparazione atletica e mentale.
In Thailandia, la Muay Thai non è uno sport come tutti gli altri. È parte della cultura nazionale, così come il calcio in Italia. Ed è proprio per questo che Fazzini ha deciso di trasferirsi lì: «Ci sono molte più opportunità, è uno sport radicato nella cultura di ogni cittadino. Vivere di questo in Italia è difficile, qui invece è la normalità». Nonostante le ridotte possibilità e prospettive offerte dal nostro territorio il suo percorso in questo sport, caratterizzato da grande passione e dedizione, è iniziato molti anni fa. «Ho cominciato a praticarla in Italia quando avevo 7 anni e circa uno o 2 anni dopo ho iniziato anche a combattere. Adesso è la mia vita», racconta Fazzini.

Da un anno e tre mesi la sua residenza è cambiata, per inseguire il suo sogno soggiorna in un camp di allenamento nella zona di Klaeng, in provincia di Rayong, una zona tranquilla a circa tre ore da Bangkok. «Il camp è gestito da italiani, e frequentato da altri ragazzi come me. Non ci sono genitori, ognuno si prende cura di sé. Qualcuno rimane per mesi, altri vanno e vengono. È un ambiente dove si cresce in fretta». Fortunatamente, essendo il camp gestito da italiani, Fazzini può dedicare il giusto tempo all’apprendimento della lingua, senza accelerare i tempi, permettendogli di imparare al meglio a leggere e scrivere per poter comprendere ancora di più la cultura locale. «Se voglio davvero integrarmi e crescere in questo mondo, la lingua è fondamentale. Mi sto impegnando il più possibile, ma non è facile, anche perché l’alfabeto è completamente diverso e molto più articolato del nostro». Per quanto riguarda le aspettative, l’atleta era già preparato. La Thailandia l’aveva già assaggiata nel 2017, durante un viaggio della durata di un mese con suo padre. Dunque, non era tutto nuovo per lui e ciò lo ha aiutato mentalmente al cambiamento radicale che avrebbe affrontato a breve: «Avevo avuto un’anteprima, sapevo un po’ cosa aspettarmi. Inoltre, ho un amico thailandese che è stato campione, e mi ha raccontato un po’ la loro cultura. Conoscerne le basi mi ha aiutato ad ambientarmi meglio».

Inizio in salita

Nonostante ciò, l’impatto è stato comunque forte. «All’inizio è stato comunque molto difficile, poiché ho dovuto cambiare totalmente le mie abitudini e la mia quotidianità al di fuori della palestra facendo un po’ di fatica, com’è normale che sia, ad adattarmi. Sono rimasto a Klaeng per tre mesi, poi sono dovuto tornare in Italia per sistemare i documenti necessari per la permanenza in Thailandia. Appena rientrato in patria però, non vedevo l’ora di tornare. Sistemate le questioni burocratiche ero di nuovo in viaggio, per ricominciare a fare ciò che più mi piace». Come racconta l’atleta, il visto è un ostacolo non da poco, tanto che solo dopo 3 mesi è dovuto rientrare in Italia per ottenere di nuovo i documenti necessari: «Non esiste un visto specifico per chi combatte. Esiste solo quello turistico, con validità massima di un anno, legata a determinate circostanze. Purtroppo, noi combattenti siamo obbligati ogni tre mesi a uscire e rientrare dal Paese. Esistono dei visti specifici per gli sportivi, ma soltanto alcune palestre hanno la possibilità di offrirli, sono davvero poche all’interno di tutto il paese e bisogna avere fortuna».
Riprendendo invece il discorso sulla quotidianità, ciò che differenzia di più la Thailandia dall’Italia è soprattutto lo stile di vita. «Sono rimasto molto colpito dalla loro serenità. Qui vivono le giornate con un’altra energia, è davvero contagiosa. Anche nel mondo del lavoro sono molto più flessibili e meno stressati rispetto a noi italiani, tanto che affrontano le difficoltà sempre col sorriso e con positività».

A Bangkok "un altro mondo"

A Klaeng, Fazzini percepisce molta calma e tranquillità durante la giornata, ma quando l’atleta si sposta a Bangkok per combattere o semplicemente per godersi il proprio tempo libero, gli sembra di entrare in un altro mondo, in cui il caos e il traffico regnano sovrani. Una realtà che non è nemmeno paragonabile a quella di grandi città italiane come Milano e Roma, poichè gli abitanti nella capitale thailandese sono molti di più e rendono ancora meglio l’idea di cosa sia una grande metropoli in movimento. Nonostante le grandi differenze culturali e l’obbligo d’abbandono e cambiamento delle proprie abitudini, Fazzini non ha dubbi sulla sua scelta. Naturalmente, però, chiunque avverte l’assenza di qualcosa dell’amata Italia e seppur l’atleta spesso segua delle diete per poter rendere al meglio sul ring, non lasciandogli molto spazio per eventuali sfizi gastronomici, tra le cose che più gli mancano della madrepatria cita senza esitazioni il cibo.

"Qui posso migliorare, ma mi manca il cibo"

«Dell’Italia non mi manca certamente il tempo passato in palestra, perché qui mi alleno molto di più e percepisco la possibilità di poter migliorare ancora di più, ed è il mio grande obiettivo. Mi manca tantissimo il cibo italiano però. Qui in Thailandia si mangia tanto riso con il pollo, non posso negare che sia buono, ma alla lunga i pasti diventano molto ripetitivi e stancano in fretta». Infine, Fazzini pone davanti a sé un obiettivo: «Cerco di vivere nel presente, penso solo a combattere, costruirmi una carriera e farmi un nome, poi, chissà… Non so cosa mi riserverà il futuro, ma voglio crescere il più possibile qui, nel posto dove questo sport è nato».
Samuel è consapevole che il suo percorso non è per nulla facile, ma ha un messaggio per chi sogna il cambiamento e una vita diversa: «Anche io ero titubante all’inizio. Lasciare le proprie comodità non è facile. Ma una volta superate le prime difficoltà, capisci che la strada che stai percorrendo è quella giusta. E tutto nella propria mente cambia».

Insomma, l’esperienza di Samuel Fazzini ci dimostra che non bisogna farsi frenare dalla paura, bensì è doveroso credere nei propri sogni. Non esistono comodità e nemmeno traguardi facili. Esistono solo sudore, passione e dedizione per realizzare ciò la mente vuole e il cuore comanda, anche a costo di andare lontano.

Alessandro Zecca

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